Aldrovandi: La polizia resterà a guadare?
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Aldrovandi: La polizia resterà a guadare?
Il caso di Federico Aldrovandi non è il caso Stefano Cucchi. Due strane sentenza fanno degli uomini in divisa lo zimbello dei furbi.
Se nel caso Cucchi i giudici hanno imputato la sua morte alla scarsa attenzione dei sanitari, dichiarando ininfluente il comportamento degli agenti carcerari che giorni prima l’avevano preso in custodia, nel caso del giovane Aldrovandi hanno deciso che la sua morte fu dovuta all’eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi degli agenti di polizia. Una sentenza che non ha tenuto in conto l’attività che svolgono giorno dopo giorno coloro che indossano una divisa in favore della nostra collettività in assistenza e prevenzione del crimine.
La responsabilità delle due morti non può essere addebitata agli agenti in divisa ma ai governi che negli anni si sono succedute, in questa falsa “democrazia”, servendosi di loro
È doveroso ricordare che Aldrovandi la disgraziata notte del 25 settembre 2005, l’aveva trascorsa nel locale “link” di Bologna, rientra a Ferrara dopo aver assunto sostanze stupefacenti con l’aggiunta di alcol.
In quelle condizioni i compagni non lo conducono al portone di casa ma lo fanno scendere dall’auto ben lontano da esso, costretto ad incamminarsi verso casa, da inizio ad una sequele di schiamazzi, nei pressi del viale Ippodromo viene notato dalla pattuglia “Alfa 3” con a bordo Enzo Pontani e Luca Pollastri, viste le condizioni dell’Aldrovandi, ritengono giusto ed opportuno identificarlo, ma per tutta risposta, senza motivo, vengono aggrediti a colpi di karate, a quel punto constatata l’impossibilità di soverchiarlo ai due agenti non resta che chiedere rinforzi, arriva la volante “Alfa 2” con a bordo Paolo Forlani e Monica Segatto, i quali constatano la reale necessità del loro intervento e che la descrizione del giovane Aldrovandi, fatta dai colleghi, che lo definirono un "invasato violento in evidente stato di agitazione" corrispondeva al vero. Lo scontro tra i quattro poliziotti e Aldrovandi fu violento, ma alla fine fu vinto dai tutori dell’ordine, i quali a quel punto avevano l’obbligo di ammanettarlo per resistenza e aggressione a pubblico ufficiale.
In questa “democrazia” che divide è giusto chiedersi: - in quella circostanza quale era il comportamento da tenere?
- quale corso di specializzazione e sanitario i quattro agenti erano stati obbligati a frequentare per disposizioni governative?
Dopo la condanna dei quattro agenti, non è forse giusto che le forze di Polizia incontrando un esaltato si girino dall’altra parte o meglio in caso di notizia di reato giungano sul luogo quando tutto è finito?
Questo hanno voluto affermare al Congresso nazionale del Sap (sindacato autonomo di polizia) i delegati con il lungo applauso volto ai 3 colleghi presenti, condannati in via definitiva a 3 anni e 6 mesi.
Dov’è lo scandalo?
Se la dichiarazione della madre di Aldrovandi, Patrizia Moretti è giustificata: "E' terrificante, mi si rivolta lo stomaco", sono vergognosamente deprecabili le affermazioni dettate dalla circostanza nei commenti dei politicanti a partire dal Presidente del consiglio Matteo Renzi, il quale ha dichiarato: "Vicenda indegna", o dell’inutile Ministro dell’Interno Angelino Alfano che definisce quegli applausi un "Gesto gravissimo", mentre il capo della polizia Alessandro Pansa, (probabilmente per compiacere il potere) ha detto: "Comportamenti offensivi".
Ancor più inaccettabile risultano le telefonate fatte da Renzi e Pansa alla famiglia Aldrovandi, per giustificarsi, in nome di tutti Noi. Lo hanno fatto senza chiedersi quante volte Federico è rientrato a casa “fatto di droga e ubriaco”, quante volte quei genitori (che dal 2005 imprecano e strepitano contro le forze di polizia) hanno rivolto un rimprovero o cercato aiuto per quel figlio ormai dalla vita persa.
Ingiusta è stata la scelta del Tribunale di sorveglianza di Bologna che, il 29 gennaio 2013 ha imposto il carcere per la pena residua di 6 mesi (tre anni, come per Berlusconi, sono stati cancellati dall’indulto) agli agenti Paolo Forlani, Monica Segatto e Lucca Pollastri, a cui l’uno marzo 2013 andrà ad aggiungersi Enzo Pontani,
Solo il 18 marzo 2013 Monica Segatto, l'unica donna del gruppo, viene scarcerata sulla base del decreto Severino (lo "svuota-carceri") e ammessa al regime degli arresti domiciliari. Anche Paolo Forlani e Luca Pollastri avevano avanzato la richiesta di poter accedere alla misura dei domiciliari, appellandosi allo svuota-carceri; ma il magistrato di sorveglianza ha respinto la domanda, confermando il carcere per i due agenti che, insieme a Enzo Pontani, sconterano la pena presso il penitenziario di Ferrara, in regime di isolamento.
Questo il risultato dell’accanimento contro gli operatori delle forze di polizia messo in moto dalla macchina del fango d’informazione della sinistra, che mistificando la realtà dei fatti, da tempo trasforma i violenti in eroi e i poliziotti in delinquenti.
Dopo aver scontato la pena carceraria e quella disciplinare, i quattro agenti continuano a pagare un prezzo altissimo, ritornati in servizio nel gennaio 2014 (eccetto Forlani, a causa di una malattia “nervosa”), lo Stato li ha rilegati in servizi interni.
Stare dalla parte degli uomini e delle donne in divisa che rischiano la vita per garantire il rispetto delle leggi è dovere di tutti noi, per questo facciamo nostre la dichiarazione del neosegretario generale del Sap, Gianni Tonelli che solidarizza con gli agenti condannati, affermando: ”L’onorabilità della polizia di Stato è stata irrimediabilmente vilipesa e solo una operazione di verità sarà in grado di riscattare il danno patito. Alla stessa stregua i nostri colleghi, ingiustamente condannati, hanno patito un danno infinito. Ritengo affrettati alcuni giudizi espressi”.
Riferendosi agli agenti coinvolti nella vicenda, sottolinea, “quattro vite sono state definitivamente rovinate dai danni subiti e, da ultimo, sono stati trascinati in un giudizio davanti alla Corte dei Conti per un risarcimento all’erario di circa 2 milioni di euro (somma che il 9 ottobre 2010 lo Stato riconosce ai familiari di Federico Aldrovandi, in cambio dell'impegno a non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti) senza che alcuna autorità abbia individuato l’entità di tale somma e senza essere stati coinvolti dall’amministrazione della pubblica sicurezza nella transazione privata con la famiglia”.
A giudizio del neo-segretario generale del Sap, “la morte di chiunque è un evento infausto, ma non necessariamente la colpa deve essere attribuita a qualcuno. Porre una pietra sopra all’accaduto, ci pare una soluzione troppo comoda”. Pertanto, conclude Tonelli, “la nostra è unicamente un’azione finalizzata non a suggerire un’interpretazione degli eventi sulla questione di cui stiamo parlando, ma atto che tenta di avvicinare i cittadini alla verità processuale consentendo loro di accedere a tutti gli atti del processo.
La Giustizia è amministrata in nome del Popolo italiano?
Noi chiediamo unicamente di perseguire una strada che l’ordinamento giuridico ci garantisce, ossia il giudizio di revisione: è un diritto dei nostri colleghi e intendiamo sostenerli su questo percorso”.
Se nel caso Cucchi i giudici hanno imputato la sua morte alla scarsa attenzione dei sanitari, dichiarando ininfluente il comportamento degli agenti carcerari che giorni prima l’avevano preso in custodia, nel caso del giovane Aldrovandi hanno deciso che la sua morte fu dovuta all’eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi degli agenti di polizia. Una sentenza che non ha tenuto in conto l’attività che svolgono giorno dopo giorno coloro che indossano una divisa in favore della nostra collettività in assistenza e prevenzione del crimine.
La responsabilità delle due morti non può essere addebitata agli agenti in divisa ma ai governi che negli anni si sono succedute, in questa falsa “democrazia”, servendosi di loro
È doveroso ricordare che Aldrovandi la disgraziata notte del 25 settembre 2005, l’aveva trascorsa nel locale “link” di Bologna, rientra a Ferrara dopo aver assunto sostanze stupefacenti con l’aggiunta di alcol.
In quelle condizioni i compagni non lo conducono al portone di casa ma lo fanno scendere dall’auto ben lontano da esso, costretto ad incamminarsi verso casa, da inizio ad una sequele di schiamazzi, nei pressi del viale Ippodromo viene notato dalla pattuglia “Alfa 3” con a bordo Enzo Pontani e Luca Pollastri, viste le condizioni dell’Aldrovandi, ritengono giusto ed opportuno identificarlo, ma per tutta risposta, senza motivo, vengono aggrediti a colpi di karate, a quel punto constatata l’impossibilità di soverchiarlo ai due agenti non resta che chiedere rinforzi, arriva la volante “Alfa 2” con a bordo Paolo Forlani e Monica Segatto, i quali constatano la reale necessità del loro intervento e che la descrizione del giovane Aldrovandi, fatta dai colleghi, che lo definirono un "invasato violento in evidente stato di agitazione" corrispondeva al vero. Lo scontro tra i quattro poliziotti e Aldrovandi fu violento, ma alla fine fu vinto dai tutori dell’ordine, i quali a quel punto avevano l’obbligo di ammanettarlo per resistenza e aggressione a pubblico ufficiale.
In questa “democrazia” che divide è giusto chiedersi: - in quella circostanza quale era il comportamento da tenere?
- quale corso di specializzazione e sanitario i quattro agenti erano stati obbligati a frequentare per disposizioni governative?
Dopo la condanna dei quattro agenti, non è forse giusto che le forze di Polizia incontrando un esaltato si girino dall’altra parte o meglio in caso di notizia di reato giungano sul luogo quando tutto è finito?
Questo hanno voluto affermare al Congresso nazionale del Sap (sindacato autonomo di polizia) i delegati con il lungo applauso volto ai 3 colleghi presenti, condannati in via definitiva a 3 anni e 6 mesi.
Dov’è lo scandalo?
Se la dichiarazione della madre di Aldrovandi, Patrizia Moretti è giustificata: "E' terrificante, mi si rivolta lo stomaco", sono vergognosamente deprecabili le affermazioni dettate dalla circostanza nei commenti dei politicanti a partire dal Presidente del consiglio Matteo Renzi, il quale ha dichiarato: "Vicenda indegna", o dell’inutile Ministro dell’Interno Angelino Alfano che definisce quegli applausi un "Gesto gravissimo", mentre il capo della polizia Alessandro Pansa, (probabilmente per compiacere il potere) ha detto: "Comportamenti offensivi".
Ancor più inaccettabile risultano le telefonate fatte da Renzi e Pansa alla famiglia Aldrovandi, per giustificarsi, in nome di tutti Noi. Lo hanno fatto senza chiedersi quante volte Federico è rientrato a casa “fatto di droga e ubriaco”, quante volte quei genitori (che dal 2005 imprecano e strepitano contro le forze di polizia) hanno rivolto un rimprovero o cercato aiuto per quel figlio ormai dalla vita persa.
Ingiusta è stata la scelta del Tribunale di sorveglianza di Bologna che, il 29 gennaio 2013 ha imposto il carcere per la pena residua di 6 mesi (tre anni, come per Berlusconi, sono stati cancellati dall’indulto) agli agenti Paolo Forlani, Monica Segatto e Lucca Pollastri, a cui l’uno marzo 2013 andrà ad aggiungersi Enzo Pontani,
Solo il 18 marzo 2013 Monica Segatto, l'unica donna del gruppo, viene scarcerata sulla base del decreto Severino (lo "svuota-carceri") e ammessa al regime degli arresti domiciliari. Anche Paolo Forlani e Luca Pollastri avevano avanzato la richiesta di poter accedere alla misura dei domiciliari, appellandosi allo svuota-carceri; ma il magistrato di sorveglianza ha respinto la domanda, confermando il carcere per i due agenti che, insieme a Enzo Pontani, sconterano la pena presso il penitenziario di Ferrara, in regime di isolamento.
Questo il risultato dell’accanimento contro gli operatori delle forze di polizia messo in moto dalla macchina del fango d’informazione della sinistra, che mistificando la realtà dei fatti, da tempo trasforma i violenti in eroi e i poliziotti in delinquenti.
Dopo aver scontato la pena carceraria e quella disciplinare, i quattro agenti continuano a pagare un prezzo altissimo, ritornati in servizio nel gennaio 2014 (eccetto Forlani, a causa di una malattia “nervosa”), lo Stato li ha rilegati in servizi interni.
Stare dalla parte degli uomini e delle donne in divisa che rischiano la vita per garantire il rispetto delle leggi è dovere di tutti noi, per questo facciamo nostre la dichiarazione del neosegretario generale del Sap, Gianni Tonelli che solidarizza con gli agenti condannati, affermando: ”L’onorabilità della polizia di Stato è stata irrimediabilmente vilipesa e solo una operazione di verità sarà in grado di riscattare il danno patito. Alla stessa stregua i nostri colleghi, ingiustamente condannati, hanno patito un danno infinito. Ritengo affrettati alcuni giudizi espressi”.
Riferendosi agli agenti coinvolti nella vicenda, sottolinea, “quattro vite sono state definitivamente rovinate dai danni subiti e, da ultimo, sono stati trascinati in un giudizio davanti alla Corte dei Conti per un risarcimento all’erario di circa 2 milioni di euro (somma che il 9 ottobre 2010 lo Stato riconosce ai familiari di Federico Aldrovandi, in cambio dell'impegno a non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti) senza che alcuna autorità abbia individuato l’entità di tale somma e senza essere stati coinvolti dall’amministrazione della pubblica sicurezza nella transazione privata con la famiglia”.
A giudizio del neo-segretario generale del Sap, “la morte di chiunque è un evento infausto, ma non necessariamente la colpa deve essere attribuita a qualcuno. Porre una pietra sopra all’accaduto, ci pare una soluzione troppo comoda”. Pertanto, conclude Tonelli, “la nostra è unicamente un’azione finalizzata non a suggerire un’interpretazione degli eventi sulla questione di cui stiamo parlando, ma atto che tenta di avvicinare i cittadini alla verità processuale consentendo loro di accedere a tutti gli atti del processo.
La Giustizia è amministrata in nome del Popolo italiano?
Noi chiediamo unicamente di perseguire una strada che l’ordinamento giuridico ci garantisce, ossia il giudizio di revisione: è un diritto dei nostri colleghi e intendiamo sostenerli su questo percorso”.
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