Francesco Cecchin 16 giugno 1979/2010

Andare in basso

Francesco Cecchin 16 giugno 1979/2010 Empty Francesco Cecchin 16 giugno 1979/2010

Messaggio  Admin Dom 13 Giu 2010, 12:36

Foto se disponibile: Francesco Cecchin 16 giugno 1979/2010 Cecchi10

Nome e Cognome: Francesco CECCHIN

Luogo e data dell’aggressione: ROMA, 28/29 maggio 1979

Luogo e data della morte: ROMA, 16 Giugno 1979

Descrizione dell’aggressione: Non ci stancheremo mai di ricordare che l’Italia è una terra occupata. Questa condizione ha obbligato e obbliga i popolo fascista a lotte impari contro una comunità di antitaliani.

Roma è una delle città che negli anni ha visto cadere il più alto numero di giovani fascisti, nel 1979, la tensione nella zona di Roma Est è altissima a causa delle continue provocazioni perpetrate dai sovversivi del Pci ai danni dei militanti del “Fronte della Gioventù” e delle sezioni del M.S.I..
Nei primi giorni del mese di maggio i comunisti avevano compiuto un attentato incendiario contro la sezione del M.S.I. – F. d G. di viale Somalia 5 che viene seguito, nei giorni successivi, da numerose azioni di disturbo della normale attività del “Fronte” condite con minacce varie di disturbo ed atteggiamenti aggressivi. In tutti questi episodi viene notata la presenza di un’automobile Fiat 850 bianca che, doveva risultare fondamentale nelle indagini dell’assassinio di Francesco Cecchin, un giovane impegnato politicamente con il Fronte della Gioventù nel quartiere Trieste/Salario. Il quale a differenza di G. Fini, insieme a tanti altri Camerati, viveva i bisogni della gente di quel territorio.

Come abitudine, la sera del 28 Maggio, intorno alle ore 20, con altri tre Camerati del F.d.G. Francesco Cecchin, si reca in Piazza Vescovio per affiggere alcuni manifesti, vengono subito notati da un gruppo di comunisti della sezione di Via Monterotondo, che ad uno ad uno strappano i manifesti appena affissi, Francesco cerca di impedire il proseguire dell’azione provocatoria, ma viene circondato da una ventina di istigatori (un agente di P.S. in borghese pur se avvertito non interviene) capeggiati dall'allora segretario della sezione del PCI Sante Moretti, il quale si rivolge ai quattro ragazzi del Fronte con affermazioni del tono: “…vi abbiamo fatto chiudere Via Migiurtinia, vi faremo chiudere anche Viale Somalia…”; alla fine, volgendosi verso Francesco Cecchin, lo apostrofa così: “Tu stai attento, che se poi mi incazzo ti potresti fare male!”.

Non’ostante le minacce, la stessa sera, intorno alla mezzanotte, Cecchin scende di casa insieme alla sorella per una passeggiata fino a Via Montebuono, dove un suo amico lavora in un ristorante; verso le 24:15, mentre i due ragazzi sono fermi davanti all’edicola di Piazza Vescovio, spunta una Fiat 850 bianca che compie una brusca frenata davanti a loro; dall’auto scende un uomo che urla all’indirizzo di Francesco: “E’ lui, è lui, prendetelo!”. Intuendo il pericolo e, probabilmente, riconoscendo l’aggressore, Francesco fa allontanare la sorella e corre in direzione di Via Montebuono, verso un condominio che conosceva bene perché residenza di un amico. Inseguito da tre degli occupanti della macchina (che nel frattempo il suo guidatore sposta fino all’imboccatura della stessa Via Montebuono) che, lo raggiungono e (probabilmente, non vi furono testimoni ) dopo averlo sottoposto ad un pestaggio lo scaraventato oltre un parapetto.
La sorella, intanto, si getta inutilmente al loro inseguimento, urlando: “Francesco, Francesco!”; gl'inquilini di via Montebuono, vengono svegliati dalle grida disperate,
un giovane, sceso in strada, nota delle persone darsi alla fuga verso Via Monterotondo e qui salire sulla Fiat 850 bianca che si allontana velocemente.
Dopo aver telefonato alla Polizia, il giovane viene raggiunto da un inquilino dello stabile di Via Montebuono 5 che lo informa della presenza, nel suo cortile sottostante di cinque metri il piano stradale, di un ragazzo che giace esanime al suolo; il giovane, giunto sul posto, riconosce in quel ragazzo il suo amico Cecchin, è in condizioni gravissime, ci si chiede come abbia fatto a finire in quel cortile. Arriva la polizia, poi un'ambulanza dalla Croce Rossa, Francesco è in posizione supina, distante circa un metro e mezzo dal muro, perde sangue dalla tempia e dal naso e tiene ancora strette nella mano sinistra le chiavi di casa, di cui una storta che spunta tra le dita, e in quella destra un pacchetto di sigarette.

Per la stampa “democratica” non era accaduto nulla. I giornali del mattino non riportano quella notizia.

Il Camerata Francesco Cecchin, morirà il 16 Giugno del 1979, dopo 19 giorni di agonia

Biografia: Francesco Cecchin nasce nel 1961, è uno studente diciottenne, da anni conosciuto come attivista missino, la notte dell’aggressione si era allontanato poche decine di metri da casa sua per incontrare un amico. Ma il selvaggio destino lo spinse verso la morte.

Il quartiere lo ricorda con il nome dipinto di Fratesco Cecchin sul terrazzo da dove è stato gettato.

Il sindaco di Roma, il 17 giugno 2009, deponendo una corona di fiori per l'anniversario della sua morte, lanciava la proposta di intitolargli una via di Roma.
Dando seguito alla proposta, il 29 ottobre, dà notizia della pubblicazione definitiva della delibera di Giunta n. 315 del 14 ottobre 2009, con la quale si approvava dietro indicazione dell’Ufficio Tecnico, non l’intitolazione di una Via ma d’una porzione di Giardino. Un progetto di riqualificazione che si intende realizzare, con dichiarazione di immediata eseguibilità. GIARDINO FRANCESCO CECCHIN, dove incontrarsi, sedersi, ricordare, in un'area che è stata voluta e ri-progettata proprio a questo fine.

I Camerati, quelli che non hanno tradito, ogni anno il 16 giugno, si incontrano in piazza Vescovio per la tradizionale veglia, che si conclude con la celebrazione del
Presente,
Francesco Cecchin è sepolto nella cappella di famiglia del cimitero di Nusco, (Av).

Stato processuale: Anche questo caso non permette agli organi di polizia di perseguire i fascisti pertanto è inutile perdere tempo in indagini, è più facile liquidare l’accaduto come “un incidente”.
Il dott. Scali, commissario di P.S. arriva ad ipotizzare che: “Francesco “impaurito”, avrebbe scavalcato il muretto del cortile senza rendersi conto che al di sotto ci fosse un salto di cinque metri”, negando che vi fosse stata una colluttazione tra il giovane e i suoi aggressori.
Apparendo questa versione ambigua, mentre alcuni militanti del F.d.G. vegliano Francesco in coma, altri cominciano a fare indagini private, che portano a scoperte molto interessanti: innanzitutto si viene a sapere che Francesco conosceva molto bene quel palazzo e il suo cortile, in quanto ci abitava un suo amico. Prende così corpo la drammatica ipotesi che Francesco sia stato gettato, già esanime, al di là del muretto che delimita il terrazzo, tesi avvalorata da altri particolari; risulta strano che il corpo sia stato trovato in posizione supina, anziché riversa, tipica di chi si lancia, e senza fratture agli arti, inevitabili quando si effettua un salto volontario da una simile altezza. L’ipotesi che Francesco sia stato gettato di peso viene avvalorata da altri due particolari: il trauma cranico, sintomo che il peso dell’impatto al suolo si è scaricato tutto sulla testa, e il fatto che questa si trovi più vicina al muro rispetto ai piedi. La chiave piegata tra le dita di una mano e il pacchetto di sigarette nell’altra sono una prova ulteriore che gli aggressori hanno gettato il corpo di Francesco, già esanime, al di là del muretto che delimita il terrazzo: chi pensa di lanciarsi oltre un ostacolo cerca infatti di avere le mani libere. Che prima di questo tragico epilogo ci sia stata una colluttazione è dimostrato dalla chiave piegata rinvenuta tra le dita di Francesco, sicuramente usata come arma di difesa contro i suoi assassini. Anche le ferite riscontrate su tutto il corpo confermano la tesi dell’aggressione, essendo queste di natura traumatica e riconducibili a colpi ben assestati da persone esperte. A rendere inconfutabili queste tesi altri due importanti elementi: le tracce di sangue riscontrate sul pavimento del cortile lunghe alcuni metri fino al bordo del muretto e la dichiarazione resa da alcuni testimoni che affermano di avere udito: “…le grida di un ragazzo, poi alcuni attimi di silenzio, ed infine un forte tonfo non accompagnato da alcun grido!”. Risulta difficile credere che una persona possa gettarsi spontaneamente giù da un muro alto cinque metri senza emettere neanche il minimo suono vocale.
Non’ostante queste precise ed attente considerazioni per far partire le indagini bisognerà comunque aspettare il 16 giugno ’05 giorno della morte di Cecchin.

Ormai è chiaro, le indagini non porteranno a nulla, in quanto avviate tardi e male, viene indagato Stefano Marozza, esponente della sezione del PCI di via Monebuono, in quanto proprietario di una famigerata Fiat 850 bianca come quella dalla quale scesero gli aggressori di Cecchin, cerca di scagionarsi dichiarando d’essere andato a vedere un film al cinema ma gli inquirenti verificarono che, quella sera, il cinema indicato era chiuso per turno di riposo. Dopo il crollo del suo alibi Marozza fu arrestato. A questo punto la potente macchina di copertura del PCI si mise in moto e mentre le indagini proseguivano a rilento e nessuno si preoccupava di verificare se i compagni abituali di Marozza quella sera erano insieme a lui, le venne fornito un nuovo alibi, questa volta perfetto; ogni prova ed ogni riscontro venne fatto sparire dagli incartamenti.

Anni dopo, il processo chiarì in maniera definitiva ed inequivocabile che Francesco Cecchin fu aggredito e scaraventato giù dal muro (forse gia svenuto) con la chiara intenzione di ucciderlo. Il giudice, scrivendo la sentenza, dichiara che se egli non era in grado di condannare l’imputato, se non era stato possibile fare piena luce sull’omicidio, questo doveva essere ascritto ai ritardi nelle indagini di quei giorni, al pressopochismo degli investigatori, al punto che il magistrato ipotizza possibili procedimenti nei confronti degli stessi organi di Pubblica Sicurezza, senza peraltro darne poi alcun seguito.
Nei fatti il processo consentì a Marozza di uscirne pulito. Nei procedimenti che ne seguirono la magistratura si è dimostrata incapace d’individuare i colpevoli di questa morte.

Ancora oggi, mentre gli assassini di Francesco sono ancora in libertà, c’è una famiglia che piange il proprio figlio, senza conoscere i responsabili della sua morte.
L’IMPORTANTE PER NOI E’ NON DIMENTICARE!

Admin
Admin
Admin

Numero di messaggi : 1044
Data d'iscrizione : 23.09.08

https://liberapresenza.forumattivo.com

Torna in alto Andare in basso

Torna in alto


 
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.