Crovace Rodolfo 3 luglio 1984/2010 Presente!

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Messaggio  Admin Dom 27 Giu 2010, 11:02

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Cognome e Nome: Crovace Rodolfo

Luogo e data della morte: Milano 03 luglio 1984

Descrizione dell’attentato: La “democrazia” che uccide non si ferma mai.
All’esercito occupante non interessa quanti italiani vengono assassinati, l’importate che il popolo non alzi la testa.
Sono giovani coraggiosi che, seppur perseguitati difendono la libertà e gli spazi del Fascismo, lo fanno, contro i servi del capitalismo bolscevico e degli uomini in divisa, servi del capitalismo privato, Max Enguer, a tale proposito affermava: “Finché l’individuo in cambio di una immunità, d’una esigua ma sufficiente paga giornaliera, d’una uniforme che lo faccia apparire un poco di più di quel che crede di essere, è disposto a sparare sul prossimo, anche quando questi chiede i suoi sacrosanti diritti, l’umanità resta quello che la cronaca ci ha dimostrato e ci dimostra: schiava dei suoi istinti e senza nessuna possibilità di evoluzione”.
Negli anni settanta a Milano, i giovani Fascisti erano costretti giorno dopo giorno a confrontarsi con l’ “Hazet 36”, una chiave inglese utilizzata dai servizi d’ordine dei gruppuscoli sovversivi, un attrezzo d’acciaio lungo quanto l’avambraccio. La provocazione bolscevica nei confronti dei valorosi giovani Fascisti si sintetizzava nello slogan, “Hazet 36 – fascista dove sei” scandito nei cortei sino alla nausea, e scritto con lo spray rosso sui muri della città. I sovversivi avevano scelto la chiave inglese, quale simbolo della loro servile e codarda attività in favore dello straniero occupante, nel tentativo di contrastare i Fascisti, allora forti e ferventi.
Milano viveva una stagione cupa, tesa, in cui non si riusciva a tirare il respiro, la violenza rossa, in tutte le sue forme, aveva fatto il nido nelle strade e nelle piazze. Era un incubo distorto, allucinato in cui in molti casi gli studenti, giovani operai, sottoproletari tutti erano schierati, o da una parte o dall' altra.
I giovani sovversivi, extraparlamentari e parlamentari, portava l' eskimo verde e le Clark, i Fascisti vestivano elegante, avevano le scarpe a punta e mettevano i Ray-ban. La contrapposizione era anche fisica, di luoghi. Nel Metrò di San Babila, stazionavano gruppi di Fascisti o genericamente di destra, in quei luoghi, allora, per i sovversivi era meglio non farsi vedere.
Sovversivi e sindacati, oltre alle manifestazioni, rituali del 25 aprile e del primo maggio, scendeva in piazza in ogni pio spinto, in appoggio della politica dei governi (corrotti) di centrosinistra, o solo contro la presenza Fascista.
In questo clima nasce e si sviluppa quella che nel linguaggio dei gruppi sovversivi si chiamava "la pratica dei cucchini". Cioè aspettare sotto casa la sera o il mattino l' avversario politico, il leader nemico, il gregario che a scuola si dimostrava troppo attivo, e pestarlo, cioè "cuccarlo". Una guerra sotterranea gestita dai servizi d' ordine comunista che costrinse i Fascisti all’autodifesa, dovevano fermare la violenza che mirava a spezzare le braccia, rompere teste, immobilizzare su carrozzelle. Da quel momento a morire non saranno solo i Fascisti.
La forte contrapposizione spinge a concludere la stagione dell' Hazet, nel ’76, si verificano solo episodi sporadici. All' interno della sinistra extraparlamentare, dopo le azioni terroristiche delle Br e Prima linea, inizia una durissima autocritica sull' uso della violenza. Molti abbandonano la politica attiva, tanti altri scelgono la strada di autodistruggersi con l' eroina, qualche altro si uccide, molti, moltissimi, attraverso un supporto politico-istituzionale rientrano nella vita “borghese” di tutti i giorni, cercano un lavoro, riprendono a studiare, si laureano. Vogliono dimenticare. Non a caso gli arrestati negli anni a seguire (per reati commessi precedentemente) hanno un lavoro: medici, impiegati, insegnanti.

I Fascisti, da sempre isolati, sono costretti a perseguire altre strade, almeno i più in vista in quegli anni, questo riguarda anche molti Sanbabilini i quali dimostrarono di non essere un semplicemente gruppo di giovani di destra che si incontravano in piazza San Babila, ma svolsero un ruolo decisivo nella storia della difesa dell’ideale fascista in Italia.
Gli irriducibili, dimostrarono tutto il loro valore, contrastando da prima il vandalismo, e in seguito il terrorismo comunista che attaccava i giovani Fascisti (anticomunisti), impugnarono le armi, prima, per difesa personale, ed in seguito per garantire ai Fascisti il libero accesso all’istruzione pubblica, rendendo possibile l’ingresso nelle scuole, come pure nei luoghi di lavoro.
Ormai fra i Sanbabilini c'è un doppio livello, gruppi della destra politica e della destra clandestina che ha bisogno di denaro contante per finanziare le proprie attività.

Gli organi d’informazione cronicamente servili e bugiardi, riportano, citando quale fonte “la magistratura milanesi” che, tra quelli che il regime “democratico” definisce terroristi di destra e la malavita organizzata cera un profondo intreccio, ipotizzando persino che i Fascisti rifornivano i sovversivi del Centro Sociale Leoncavallo di grandi quantità d’eroina. Arrivano ad accusare i giovani più rispettabili e coraggiosi d’essere implicati con la “Banda Cavallini”, o segnalati da un pentito (Angelo Epaminonda), come accade ad Rodolfo Crovace, d’essere stato uno dei killer nella strage di via Selvanesco, dove il 20 giugno 84 venero giustiziati con un colpo alla nuca tre malavitosi. Accuse infondate, ma all’epoca utili, da sfruttare politicamente.

Crovace, era giovane spavaldo, sincero, generoso, ritenuto il terrore dei sovversivi, capace di violenze che in quegli anni erano inevitabili per chi stava a destra.
Tante le vicende giudiziarie legate alla lotta politica, viene carcerato e scarcerato a piacimento della magistratura con accuse escogitate di volta in volta, viene persino accusato d’aver già nel ’72 partecipato ad una sparatoria davanti all’Harris bar di Milano, invaso dai bolscevichi.

Senza prospettive e senza alcun aiuto per trovare un lavoro di che vivere, Rodolfo Crovace, finì coinvolto nel tunnel della disperazione, per ultimo, il 19 gennaio 1984, era sfuggito al blitz della polizia, operazione che portò in galera una cinquantina di persone, i carabinieri dopo varie segnalazioni, settimane di appostamenti e pedinamenti, erano venuti a conoscenza che, se ne stava nascosto in un appartamento fuori mano di periferia (al Ticinese), al quarto piano di una casa anonima e popolare di via Pastorelli numero 4, interno 6, ospite di una donna, Gabriella Ciaponi, che viveva prostituendosi. La gente del palazzo probabilmente doveva pensare che l' uomo fosse il protettore della donna.
Sono le 15,35 del 3 luglio ’84, quando alcuni uomini in borghese dell' Arma decidono di passare all' azione, si appostano, hanno già un piano: fermare la donna, costringerla a salire su in casa.
La donna arriva tranquilla. Quando la bloccano non capisce, in ascensore comincia a gridare a squarciagola. E' l' allarme per Crovace, tre carabinieri entrano nell' appartamento (due locali, un ingresso e i servizi), dove la camera da letto aveva la porta chiusa, iniziano a sparare micidiali raffiche dalle loro armi, Crovace che, aveva una grande abilità nel maneggio delle armi, abilità che lo aveva portato nei verbali dei magistrati più volte, pur disponendo di una Beretta bifilare da quindici colpi (lo stesso modello in dotazione a carabinieri e polizia) risponde al fuoco con una Magnum 357 attraverso la porta della camera da letto, ferendo il più esposto degli spietati assalitori.
A Rodolfo, pur non avendo scampo sia per lo svantaggio numerico, che per l’armamento, non dettero il tempo d’arrendersi, fu ucciso come una bestia da quei tre militari che esplosero decine di proiettili. Era rimasto fulminato, dall' altra parte del corridoio, un colpo o lo aveva preso alla giugulare. Il suo corpo fu trovato riverso sul letto addosso, aveva soltanto un accappatoio, rosso di sangue, che lo copriva fino all' inguine. Per terra, un mare di acqua intrisa di sangue perché i colpi sparati dai carabinieri avevano addirittura spezzato le tubazioni della misera abitazione in cui viveva.
Nell' aria di quella calda giornata, portato via dal vento che spesso soffia a Milano, l' odore acre della polvere da sparo. Un odore che dal quarto piano è arrivato persino in strada, assieme alle grida disperate di una donna, la convivente di Crovace. Indirettamente, la responsabile della sua morte.

Biografia: Rodolfo Crovace, è nato nel brindisino (Puglia) nel 1953, a 18 anni si trasferisce a Milano, dove si unisce ai giovani sanbabilini, da subito dimostra le sue capacità aggregative, divenendo, un mitico capo …. . Per anni si porta dietro il soprannome di Rudy "Mammarosa", un titolo più che un nomignolo, una qualifica.
Rodolfo, ormai abile pistolero, al momento della sua morte aveva a sua disposizione due auto, una Mercedes 190 color carta da zucchero e una Lancia Delta 1500 color bronzo, ma resta indifeso in quello squallido locale di periferia.

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