Elezioni regionali 2014: Abruzzo e Piemonte
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Elezioni regionali 2014: Abruzzo e Piemonte
Le elezioni del 25 maggio 2014 hanno consegnato altre due regioni alla sinistra. A decidere il risultato non è stato il voto ma il preventivo comportamento della magistratura, accompagnato dalla complicità del potere dell’informazione. Al centro-destra ormai resta il governo di tre sole Regioni Campania, Lombardia e Veneto.
Anche se a noi Fascisti questo risultato importa poco, in quanto contrari al regionalismo sin dalla sua istituzione. La decisa dell’Assemblea (antifascista) Costituente nel 1947, per noi rappresentava e rappresenta uno dei punti più controversi della Costituzione.
All’epoca erano nettamente favorevoli all’istituzione delle Regioni democristiani e repubblicani, a partire del 1948 lo furono fortemente anche i social-comunisti, contrari si dichiararono solo i gruppi di destra, sebbene Luigi Einaudi manifestasse qualche interesse filo-regionalista.
Le regione vennero costituzionalmente inserite nel Titolo V, come tutte le altre norme costituzionali, anche questa imposizione fu frutto di un compromesso: i democristiani rinunciarono alle spinte federalistiche, i comunisti all’opposizione di principio alla regionalizzazione dello Stato. La verità è che gli uni e gli altri volevano garantirsi delle salvaguardie politiche a livello locale, per questo dopo le elezioni politiche del 1948 le sinistre divennero regionaliste ad oltranza, richiamando il Governo al rispetto degli impegni costituzionali che, secondo una norma transitoria, imponeva la costituzione delle Regioni a statuto ordinario entro un anno dalla promulgazione della Costituzione.
Di anni ne sono trascorsi oltre 20 anni, nel corso dei quali le sinistre continuavano a sbraitare. Le regioni divennero realtà nel 1962 al tempo del primo Governo di centro sinistra capeggiato da Fanfani, una legge costituzionale istituì la Regione Friuli Venezia Giulia a statuto speciale, e le rimanenti a statuto ordinario. l’ostacolo che aveva sbarrava la strada alle regioni era la preoccupazione connessa al costo, da questa preoccupazione avevano preso linfa gli oppositori dell’istituzione delle Regioni, erano gli sproporzionati costi che sarebbero gravati sui contribuenti a fare presa sull’opinione pubblica.
Le Regioni già dalla loro istituzione potevano legiferare su ben 18 materie, cioè si era dato l’avvio a 18 nuove voci di spesa moltiplicate per tutte le Regioni, senza che la finanza dello Stato venisse in alcun modo garantita. Ciò significo che, da quando le Regioni cominciarono a legiferare, è saltato virtualmente il Bilancio dello Stato, almeno in sede di previsione.
Ma, come si è detto, i veri motivi per i quali sono stati imposti i Parlamenti Regionali, erano di natura politica. L’allora posizione dei comunisti era molto chiara. Essi volevano le Regioni nella certezza di poterne dominare almeno tre, e nella presunzione di potere indirettamente influire sul Governo di parecchie altre.
Gia da subito le Regioni sono servite non per decentrare la pubblica amministrazione, ma a meglio ramificare le posizioni di potere della partitocrazia. In realtà, le Regioni sono il più grosso regalo che questo falso regime democratico parlamentare del dopoguerra ha fatto ai comunisti.
Con la nascita dello Stato regionale venne a cadere lo Stato unitario, che bene o male per oltre 100 anni aveva retto l’Italia nella buona e nella cattiva sorte. Venne a cadere non solo lo stato di diritto, ma la certezza del diritto. Venne a cadere e ad infrangersi l’unità degli indirizzi legislativi. Venne meno ogni possibilità di programmazione economica in senso nazionale. Venne meno ogni reale possibilità di superare gli squilibri, perché era evidente che le Regioni più ricche si arroccavano nei loro egoismi arricchendosi ancor più ai danni delle Regioni più povere.
Di fatto sono venute meno anche le possibilità, da parte dell’Italia di far fronte agli impegni economici con l’europea. Ad esempio avendo le Regioni potestà legislativa in agricoltura, divenne difficile trovare un quadro all’interno dell’unità economica nazionale, agli obblighi derivanti dal mercato comune europeo.
A questo va ad aggiungersi la riforma dell’articolo V della costituzione del 2005, approvata unilateralmente dalla sinistra comunista e post-comunista, con la quale si assegnarono nuovi poteri alle Regioni allargando ancor più lo spirito istitutivo, quello d’essere una grande fonte di corruzione,clientelismo e sprechi, ottenendo negli anni, con la scusa del decentramento, un potere impositivo sempre più incontrollato.
Per questo oggi poco importa a noi Fascisti chi governa le regioni, il nostro obbiettivo resta la loro abolizione, cosi come concordiamo con l’abolizione politica delle province se ad esse verrà tolta anche a potestà impositiva, cosa che purtroppo ad oggi non è avvenuta.
Il nostro obbiettivo resta quello di recuperare la centralità dello Stato, per costituire lo Stato Nazionale del Lavoro, e attraverso ad esso restituire dignità al nostro Popolo.
Il compagno Pietro Nenni, a proposito del regionalismo, affermava:
“COSTITUIRE LE REGIONI SIGNIFICA RIDURRE L’ITALIA IN PILLOLE”
La presenza della deputazione missina nei parlamenti regionali non appariva come un consenso alla Regioni ma, indispensabile in quanto in quelle sedi, con la maggiore autorità possibile, facevano risuonare le voci della Nazione, dello Stato, della unitaria società italiana. All’epoca occorreva che in quelle sedi le manovre sovversive venissero puntualmente denunciate e smascherate. Occorreva che, Regione per Regione, si contrastasse dall’interno il passo alle tendenze disgregatrici. In essi la parola d’ordine era: “alla Regione per la Nazione”
Oggi tutti proprio tutti siedono negli scranni di quei parlamenti solo per interessi personali e di parte, per questo nonostante l’immenso potere di cui godono le Regioni, oggi riteniamo i risultati che seguono del tutto insignificanti.
Anche se a noi Fascisti questo risultato importa poco, in quanto contrari al regionalismo sin dalla sua istituzione. La decisa dell’Assemblea (antifascista) Costituente nel 1947, per noi rappresentava e rappresenta uno dei punti più controversi della Costituzione.
All’epoca erano nettamente favorevoli all’istituzione delle Regioni democristiani e repubblicani, a partire del 1948 lo furono fortemente anche i social-comunisti, contrari si dichiararono solo i gruppi di destra, sebbene Luigi Einaudi manifestasse qualche interesse filo-regionalista.
Le regione vennero costituzionalmente inserite nel Titolo V, come tutte le altre norme costituzionali, anche questa imposizione fu frutto di un compromesso: i democristiani rinunciarono alle spinte federalistiche, i comunisti all’opposizione di principio alla regionalizzazione dello Stato. La verità è che gli uni e gli altri volevano garantirsi delle salvaguardie politiche a livello locale, per questo dopo le elezioni politiche del 1948 le sinistre divennero regionaliste ad oltranza, richiamando il Governo al rispetto degli impegni costituzionali che, secondo una norma transitoria, imponeva la costituzione delle Regioni a statuto ordinario entro un anno dalla promulgazione della Costituzione.
Di anni ne sono trascorsi oltre 20 anni, nel corso dei quali le sinistre continuavano a sbraitare. Le regioni divennero realtà nel 1962 al tempo del primo Governo di centro sinistra capeggiato da Fanfani, una legge costituzionale istituì la Regione Friuli Venezia Giulia a statuto speciale, e le rimanenti a statuto ordinario. l’ostacolo che aveva sbarrava la strada alle regioni era la preoccupazione connessa al costo, da questa preoccupazione avevano preso linfa gli oppositori dell’istituzione delle Regioni, erano gli sproporzionati costi che sarebbero gravati sui contribuenti a fare presa sull’opinione pubblica.
Le Regioni già dalla loro istituzione potevano legiferare su ben 18 materie, cioè si era dato l’avvio a 18 nuove voci di spesa moltiplicate per tutte le Regioni, senza che la finanza dello Stato venisse in alcun modo garantita. Ciò significo che, da quando le Regioni cominciarono a legiferare, è saltato virtualmente il Bilancio dello Stato, almeno in sede di previsione.
Ma, come si è detto, i veri motivi per i quali sono stati imposti i Parlamenti Regionali, erano di natura politica. L’allora posizione dei comunisti era molto chiara. Essi volevano le Regioni nella certezza di poterne dominare almeno tre, e nella presunzione di potere indirettamente influire sul Governo di parecchie altre.
Gia da subito le Regioni sono servite non per decentrare la pubblica amministrazione, ma a meglio ramificare le posizioni di potere della partitocrazia. In realtà, le Regioni sono il più grosso regalo che questo falso regime democratico parlamentare del dopoguerra ha fatto ai comunisti.
Con la nascita dello Stato regionale venne a cadere lo Stato unitario, che bene o male per oltre 100 anni aveva retto l’Italia nella buona e nella cattiva sorte. Venne a cadere non solo lo stato di diritto, ma la certezza del diritto. Venne a cadere e ad infrangersi l’unità degli indirizzi legislativi. Venne meno ogni possibilità di programmazione economica in senso nazionale. Venne meno ogni reale possibilità di superare gli squilibri, perché era evidente che le Regioni più ricche si arroccavano nei loro egoismi arricchendosi ancor più ai danni delle Regioni più povere.
Di fatto sono venute meno anche le possibilità, da parte dell’Italia di far fronte agli impegni economici con l’europea. Ad esempio avendo le Regioni potestà legislativa in agricoltura, divenne difficile trovare un quadro all’interno dell’unità economica nazionale, agli obblighi derivanti dal mercato comune europeo.
A questo va ad aggiungersi la riforma dell’articolo V della costituzione del 2005, approvata unilateralmente dalla sinistra comunista e post-comunista, con la quale si assegnarono nuovi poteri alle Regioni allargando ancor più lo spirito istitutivo, quello d’essere una grande fonte di corruzione,clientelismo e sprechi, ottenendo negli anni, con la scusa del decentramento, un potere impositivo sempre più incontrollato.
Per questo oggi poco importa a noi Fascisti chi governa le regioni, il nostro obbiettivo resta la loro abolizione, cosi come concordiamo con l’abolizione politica delle province se ad esse verrà tolta anche a potestà impositiva, cosa che purtroppo ad oggi non è avvenuta.
Il nostro obbiettivo resta quello di recuperare la centralità dello Stato, per costituire lo Stato Nazionale del Lavoro, e attraverso ad esso restituire dignità al nostro Popolo.
Il compagno Pietro Nenni, a proposito del regionalismo, affermava:
“COSTITUIRE LE REGIONI SIGNIFICA RIDURRE L’ITALIA IN PILLOLE”
La presenza della deputazione missina nei parlamenti regionali non appariva come un consenso alla Regioni ma, indispensabile in quanto in quelle sedi, con la maggiore autorità possibile, facevano risuonare le voci della Nazione, dello Stato, della unitaria società italiana. All’epoca occorreva che in quelle sedi le manovre sovversive venissero puntualmente denunciate e smascherate. Occorreva che, Regione per Regione, si contrastasse dall’interno il passo alle tendenze disgregatrici. In essi la parola d’ordine era: “alla Regione per la Nazione”
Oggi tutti proprio tutti siedono negli scranni di quei parlamenti solo per interessi personali e di parte, per questo nonostante l’immenso potere di cui godono le Regioni, oggi riteniamo i risultati che seguono del tutto insignificanti.
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