Acca Larentia 7 gennaio 1978/2011

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Messaggio  Admin Sab 28 Feb 2009, 12:08

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ACCA LARENTINA 33° ANNIVERSARIO
Cognome e Nome: Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni.
Luogo e data dell’attentato: Roma 7 gennaio 1978

Luogo e data della morte: Roma 7 gennaio 1978

Descrizione dell’attentato: Un nuovo anno aveva appena sostituito il vecchio, la “democrazia” nel nostro Stato piccino piccino, edificato sul tradimento e l’occupazione militare, per poter sopravvivere doveva rispondere ai governi occupanti, i quali pensano soltanto ad asservirsi il popolo Italiano ai loro specifici interressi, per ben tutelarli imponevano ai governicchi che si susseguivano di colpire e colpire duro, ogni tentativo di cambiamento, senza preoccuparsi, del numero dei morti ammazzati. Nei Paesi occupanti, attraverso la “CIA”, comandavano, destabilizzano e si dicevano pronti a dare corso ad un colpo di Stato.
Sotto questa continua minaccia, i peggiori politici italiani dovevano obbedire, generando prima, una scia di violenza e di vendetta, e dopo, stroncarla col manganello e con le pallottole. Si, con le pallottole. In quegli anni lo Stato si reggeva sulla teoria degli opposti estremismi, gli “anni di piombo”, nulla doveva cambiare. Per i partiti di governo ogni occasione di scontro è da sfruttare ed alimentare, con disinformazione e depistaggi.

L’estremismo di sinistra forte degli eventi passati, e degli anni della contestazione sessantottina, si sentiva autorizzato a compiere qualunque atto sia esso politico che delinquenziale.

Anche a Roma quelli erano tempi duri, difficili, pericolosi. Specie per chi decideva di fare attività politica. Se la faceva, poi, scegliendo di stare a destra, aveva quasi firmato la condanna a morte. Quelli erano gli anni in cui “uccidere un fascista” non era considerato un reato né un peccato, si respirava aria di tempesta, di rancore, di odio.

E’ questo il clima che il governo garantiva agli italiani, sabato 7 gennaio del 1978, alle ore 18.23, quanto un comando sovversivo, armato di tutto punto, composto da cinque maschi e una femmina, si porto in via Acca Larentia, al numero 28, una strada immersa tra palazzoni di dieci piani, grigi e anonimi, tra Tuscolano e Appio Latino a Roma. Una porzione di città considerata periferia degradata, terra di nessuno, ma che oggi, con la prepotente espansione dell’urbe capitolina, si trova molto più vicina al centro.

In un vicolo non transitabile alle auto perché chiuso da una breve scalinata, c'era la sezione del Movimento Sociale Italiano (ora gli stessi locali ospitano la federazione romana della Fiamma Tricolore. Una sovrapposizione che non è stata né indolore né incruenta), uno stanzone polveroso chiuso da una saracinesca, al cui interno c’è una porta in ferro, una sezione molto attiva nella zona, una di quelle sezioni dove si esprime l’anima popolare e sociale della destra italiana, capace di proporre un modello di economia basato sul lavoro e la partecipazione, non sullo scontro sociale. In questo senso una destra che faceva molto più paura: ben lontana dall’immagine borghese, capitalista, arrogante e becera, che stampa, cinema, e tv volevano darle.

La giornata del 7 gennaio del 1978, è trascorsa come del resto quasi tutte le giornate, tra attacchinaggi nelle vie del quartiere e, qualche rissa con i “servi rossi del capitalismo”, del Liceo Augusto, che si trova a poche centinaia di metri dalla sezione missina.

Quei sei comunisti, con il volto, vigliaccamente, celato con cappellini variopinti o passamontagna scuri, si appostano al buio, tra via Evandro e lo spiazzo innanzi alla sezione del M.S.I. attendendo che i giovani presenti al suo interno (Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Vincenzo Segneri, Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino) vengano fuori, l’attesa fu breve.
I 5 giovani, attivisti del “Fronte della Gioventù”, l’organizzazione giovanile missina, stavano ciclostilando il volantino con il quale si annunciava un imminente concerto a Roma degli “Amici del Vento”, un gruppo musicale della Destra milanese, conclusa la stampa i cinque ragazzi si accingono ad uscire dalla sezione, dovevano raggiungere gli altri camerati che già dalle 18:00 stavano volantinando in piazza Risorgimento, il primo ad uscire è Bigonzetti, apre la porta in ferro della sezione ed è in strada, non si vede quasi nulla, quando da dietro una serie di piloncini di marmo, posti sul lato destro dello piazzo, sbucano i sei sovversivi, impugnano pistole calibro 9 e una mitraglietta Skorpion calibro 38, un'arma micidiale capace di sparare 20 colpi in pochi secondi.
Sarà quell'arma terribile, come dimostreranno le perizie balistiche, a stroncare la vita di Bigonzetti e Ciavatta, un'arma maneggiata, con molta probabilità, dalla ragazza.

E' una pioggia di colpi, un inferno di lampi, un susseguirsi sordo di detonazioni: Franco Bigonzetti cade subito, si accascia davanti la porta della sede missina, centrato oltre che all'occhio sinistro all’addome e al torace;
Quei tanti colpi di pistole e della mitraglietta Skorpion che gli si rovesciarono addosso, lì per lì sembrarono spari di un Capodanno fuori tempo massimo.

Francesco Ciavatta capisce che gli stanno sparando addosso, tenta di fuggire, verso la fine della via dove si erge a sinistra della sezione una scalinata, corre ma non ce la fa, viene inseguito e raggiunto da una serie di colpi sparati da distanza ravvicinata, che lo investono in pieno, si trascina per alcuni metri poi s’accascia sulle scale, ha tre colpi nel torace ma è ancora vivo. Non ha ancora perso i sensi e dice: "pensate a Franco", poi, forse guardando le luci di quel Natale appena passato, e le scritte d'auguri per quell'anno che per lui sarà l'ultimo, tra le braccia dei suoi camerati aggiunge: "Aiuto, mi brucia tutto, aiuto".
Un colpo, uno dei tre, come chiarirà l'autopsia, gl’ha spaccato il cuore.

L'ultimo, ad uscire dalla sede, e Vincenzo Segneri che, pur colpito ad un braccio, dimostra una prontezza di riflessi che gli salverà la vita, con un balzo all'indietro riesce a barricarsi nella sede del M.S.I. insieme agli altri due giovani.
Intanto da sotto la porta, una grossa macchia di sangue cominciava a bagnare la stanza. Era il sangue di Bigonzetti, ormai morto e riverso in una pozza fuori dalla porta. Quando i tre riaprono lo trovano così.

Il commando assassino scappa. Alcuni testimoni vedono posare le armi nel bagagliaio e salire su un’auto di colore rosso, forse una Renault, che sparisce nel buio.

I soccorsi giungono molto tardi, Ciavatta, rantola in un lago di sangue, morirà durante il tragitto per il più vicino ospedale, il San Giovanni.

La rivendicazione non si fa attendere, giunge, in una maniera inusuale, una cassetta audio viene fatta ritrovare ai redattori del quotidiano “Il Messaggero “ accanto ad una pompa di benzina, in essa la voce contraffatta di un giovane che, a nome dei "Nuclei armati per il contropotere territoriale", dopo all’ormai noto slogan “fascisti, padroni, per voi non c’è domani “, detta con macabra e delirante precisione il seguente messaggio: << Erano circa le 18:23 del 7 gennaio 1978, quando un nucleo armato dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larentia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga.
Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua >>.
La radio comunista “città futura” commentò: "oggi i fascisti hanno perso una ciavatta".

La notizia della strage attraversa Roma come un fulmine, in poco tempo si radunano sul luogo dell’agguato centinaia di fascisti romani per presidiare la zona, a proteggere l’intimità del momento, il desiderio di una comunità di stringersi a caldo nel luogo del lutto, intorno al lago di sangue che colora il selciato, proprio davanti alla sezione, c'è sgomento e una rabbia profonda.

La repubblica fondata sull’antifascismo, si presenta agli occhi dei camerati romani, con un numero impressionante di agenti “provocatori ”, in divisa e non, allora guidati da un ministro degli Interni (oggi riabilitato e venerato da G. Fini), che si chiamava e si chiama Francesco Cossiga, ad essi si aggiungono un nugolo di giornalisti e cineoperatori.

I Poliziotti e Carabinieri, che hanno effettuato i rilevamenti, confermano la dinamica bestiale dell'agguato.

Ormai nello spiazzo innanzi alla sezione erano riuniti molti militanti delle altre sezioni.

Alla provocazione dello Stato va ad aggiungersi quella di un giornalista ed un cameraman “RAI”, sigla mal sopportata nell’ambiente fascista, per il servile comportamento verso il regime. Questi prima con la telecamera del Tg1 riprendono l’entrata della sede missina con il solo scopo di inquadrare i volti dei giovani attivisti, presenti, ed ancora, dopo aver percorso le tappe dell'agguato, si fermano davanti alla pozza di sangue ancora fresca di Ciavatta, dove uno dei due vi getta sopra – con disprezzo – un mozzicone di sigaretta. Per i militanti fascisti è la scintilla, dopo le urla, volano pugni, calci e bastonate, le apparecchiature video dei giornalisti RAI vengono danneggiate.
Le forze di polizia che non aspettavano altro, intervengono duramente, lanciando lacrimogeni e sparando con le armi da fuoco. Un ufficiale dei carabinieri, Eduardo Sivori spara intenzionalmente ad altezza d’uomo, inceppatosi la sua arma prende quella di un sottoposto mira e spara centrando in fronte un ragazzo di 19 anni, Stefano Recchioni, militante del Fronte della Gioventù della sezione di Colle Oppio, viene immediatamente portato in ospedale, resterà agonizzante per due giorni.
Nei corridoi dell'ospedale S. Giovanni dove si sta spegnendo la sua giovane vita si consuma anche il dramma dei suoi camerati. Un dramma non scevro di amare conseguenze.
La strage inciderà, infatti, come un marchio di fuoco e il nome di Acca Larentia diventerà, per tutta una generazione, sinonimo stesso di martirio. Stefano, morirà il 9 gennaio, dopo che, inutilmente, i suoi genitori si erano offerti di donare i suoi organi.
In poche ore la furia omicida ha colpito per ben tre volte e solo il caso ha "limitato" a tre il numero delle vittime. Se i cinque ragazzi della sezione fossero usciti contemporaneamente ben più grave sarebbe stato il bilancio, le sventagliate di mitraglietta esplose dai comunisti avrebbero fatto ben altri danni

Per i fascisti, quello è, un giorno da consacrare alla rivolta. In molte città d’Italia scoppiano violenti tafferugli: a Torino, Verona, Bologna, Firenze, Napoli, Reggio Calabria e Cagliari Sovversivi rossi e Fascisti si confrontano e si scontrano nelle vie e nelle piazze.

Il ministro degli Interni adotta una decisione clamorosa: l’invio al confino degli esponenti più riottosi degli autonomi e dei missini.

Da quel momento nulla sarà come prima, comunisti e forze dell’ordine saranno un unico nemico. Nei loro occhi, vedono che, le facce dei dirigenti missini diventano del bronzo di chi fa finta di niente, di chi non è disposto a mettersi davvero contro l’ordine costituito per difendere uno di loro. Capiscono che al partito serve solo il loro sangue, che non hanno niente in comune con quei politici che pensano unicamente al consenso e alla convenienza, gente che non sa rinunciare a qualche manciata di voti dei militari per schierarsi dalla parte di un ragazzo morto ammazzato proprio da quei militari.

Il rapporto con il partito si spezza in quel momento. Nelle poche ore di un pomeriggio tutti i nodi sono venuti al pettine. I giovani fascisti l’hanno capito e se lo spiegano l’un l’altro senza parlare, solo guardandosi in faccia e comportandosi tutti alla stessa maniera. Tra quei fascisti cerano pure Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Franco Anselmi (che di lì a poco avrebbero fondato i Nar, Nuclei armati rivoluzionari), Valerio pensa a quei ragazzi uccisi << a casaccio >>, senza che avessero fatto nulla, come i fratelli Mattei, o Mario Zicchieri. Ritiene che un’ infamità del genere per la sua << etica dello scontro >> non si può tollerare. Per lui è insopportabile. Franco Anselmi invece compie una piccola cerimonia privata, fatta di simboli e rituali che solo lui può capire. Ha portato il passamontagna sporco di sangue del giovane studente greco Mantakas, si avvicina al punto in cui è caduto Bigonzetti, si bagna il dito col sangue che è ancora presente sull’asfalto per poi passarlo sul cappello di lana e a mezza bocca giura su se stesso che vendicherà i << camerati >>. Valerio rimane colpito da quel gesto, i pensieri gli si accavallano, da quel momento prende contatto con la morte che lascia il segno sulle persone che sopravvivono.

Per l’ambiente giovanile fascista, Acca Larentia significò la fine della legalità, da quel giorno in poi decide di imbracciare le armi ed iniziare la lotta armata per le strade contro i propri assassini.

Se i “rossi” sparavano e le forze dell’ordine pure, non c’era altra scelta che la lotta armata. Il vice direttore del Messaggero Felice La Rocca viene ferito da due giovani a bordo di un motorino. Da quel giorno anche da destra iniziano saccheggi e devastazioni in molte vie della capitale.

I fascisti a Roma, hanno uno scontro armato violentissimo con le forze dell’ordine. Per la prima volta, e per tre giorni, i fascisti romani spareranno contro la polizia. E questo segnò ovviamente un punto di non ritorno. Anche in seguito, rapinare le armi ai poliziotti o ai carabinieri avrà un grande significato. Che lo facessero le organizzazioni di sinistra era normale, il fatto che lo facessero i fascisti cambiava le cose di molto, perché i fascisti fino ad allora rispettavano il potere costituito. Da quel momento in poi non saranno più vittime inconsapevoli, ma giovani guerrieri pronti a combattere, a difendere la loro visione del mondo, la loro presenza in un domani ritenuto migliore, da costruire sull’altare di una democrazia (quanto mai cristiana) risibile, oltraggiosa, violenta e ingannatrice. Franco, Francesco e Stefano sono per tutti questi motivi italiani veri, italiani da ricordare.

Biografia: Franco Bigonzetti 19 anni, studente, iscritto al primo anno di medicina e chirurgia è figlio di un impiegato.

Francesco Ciavatta 18 anni, liceale, figlio del portiere dello stabile in Via Deruta 19, dove è ubicata la sezione missina.
Il papà, non regge al dolori. Se ne accorge subito Giorgio Almirante che lo confida alla moglie, Donna Assunta: “Bisogna stare attenti, quell’uomo è sconvolto”. Un tragico segno premonitore, quello di Almirante. Pochi mesi dopo l’uccisione, il papà di Francesco per la disperazione una mattina esce e va ai giardinetti, si siede su una panchina, in mano ha una bottiglia di acido muriatico, la beve tutta. Una terribile fine. E’ il quarto martire di Acca Larentina.

La rabbia e l'indignazione per l'accaduto, furono fortissime anche in Molise. Sezioni del Msi e sedi del Fronte della Gioventù rimasero presidiate per intere giornate e nottate, in attesa che facesse ritorno in Molise, per i funerali la salma del camerata, Fracesco Ciavatta.
Un feretro che fu portato a spalla nella sua Montagano in un freddo e piovoso pomeriggio, con agenti della Digos che, nascosti, fotografavano goffamente e irrispettosamente, i numerosi giovani militanti, ma anche gli anziani 'missini', accorsi a Montagano da tutto il Molise.
Da allora il 10 gennaio, anno dopo anno, si sono susseguite commemorazioni e celebrazioni in ricordo del sacrificio di Fracesco Ciavatta. I Camerati romani, e anche quelli molisani incontrano Angiolina Mariano, mamma di Francesco, nel paesino di Montavano vicino Campobasso dove vive tormentata dai fantasmi, nel ricordo di quell'unico figlio e del marito che non resse al dolore.

Stefano Recchioni, 19 anni, militante della sezione di Colle Oppio, chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus, a cui il cantautore Fabrizio Marzi dedicò nel 1979 la canzone "Giovinezza";

Ogni anno, i Camerati commemorano la strage, le forze comunista si scatenano invocando l’intervento delle forze dell’ordine per impedire le “provocazioni fasciste”. Oggi come allora si invoca l’intervento delle forze dell’ordine. Fortunatamente per adesso le stesse non sparano più ad altezza d’uomo ….

Stato processuale:
Come sempre, non viene svolta nessuna indagine, i colpevoli dell'agguato sono rimasti ignoti e liberi e ciò nonostante la rivendicazione firmata dai Nuclei Armati di Contropotere Territoriale.
La volontà è quella di mantenere un buco nero su di un delitto, per così dire, di serie B.
Solo nel 1987, dopo 9 anni di silenzio, per caso, la magistratura troverà un riscontro, grazie alle rivelazioni di un’ex brigatista pentita, Livia Todini, tredicenne, al primo anno di liceo all'epoca della strage, la quale affermò di esser stata presente ad una riunione dove si era pianificato l'agguato di Acca Larentia, accusando degli ex militanti di Lotta Continua: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Viero Di Matteo, Francesco De Martiis, Cesare Cavallari, e Daniela Dolce.
Gli inquirenti a questo punto dovettero, ritenerli componenti del gruppo di fuoco che sparò contro Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Vincenzo Segneri e, per questo, costretti a spiccare degli ordini di cattura a loro carico.

Vengono arrestati Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Viero Di Matteo, Francesco De Martiis e Cesare Cavallai, mentre Daniela Dolce, riuscì a non farsi catturare, rimanendo latitante, Mario Scrocca, un infermiere, ventiquattr'ore dopo essere stato interrogato dai giudici si tolse la vita in cella, gli altri presunti colpevoli nel 1990, furono assolti in primo grado dalla Corte di Assise di Roma "per insufficienza di prove", come pure Daniela Dolce, rimasta latitante.
Sulla tragica vicenda cala fitto l’oblio.

Il Capitano Eduardo Sivori, assassino del giovane Stefano Recchioni, non’ostante la pressante richiesta della base militante non fu mai denunciato dai dirigenti del Msi, decisione che portò ad un‘insanabile frattura con parte del mondo giovanile missino.
Il Capitano nel corso delle approssimative indagini (Cossiga dichiarerà anni dopo di averlo coperto) sostenne di essere stato costretto a fare fuoco dall’atteggiamento aggressivo dei ragazzi che si trovavano nella piazza, ma i vertici dei Carabinieri e lo stesso governo, prima parlano di legittima difesa, poi ipotizzano un tragico incidente.
In un processo “farsa”, il capitano Sivori venne condannato solo per "eccesso colposo di legittima difesa"

Nel 1988, in via Dogali a Milano in un covo delle Brigate rosse saltò fuori la mitraglietta Skorpion, una pistola mitragliatrice di fabbricazione cecoslovacca, dalla quale il 7 gennaio 1978, erano partiti i colpi che assassinarono i giovani missini Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, la mitraglia aveva il numero di matricola abraso, ma grazie a un procedimento chimico i carabinieri riuscirono a risalire alla «carta d' identità» di quell'arma. Scoprirono che aveva smesso di sparare ad aprile, appena due mesi prima del ritrovamento, quando sparo per uccise una vittima illustre. L' archivio balistico svelò pure che quel l’arma aveva sparato nel 1986, e nel 1985 uccidendo altre vittime illustri, omicidi firmati con la stella a cinque punte delle BR.

Quell’arma entrò in circolazione all' inizio degli anni Settanta, quando un armiere di Saint Vincent la vendette senza difficoltà a un acquirente che ebbe solo bisogno di mostrare il porto d' armi, autentico, intestato al signor Enrico Sbriccoli, nato a Camerino il 13 novembre 1934. Chissà se l'armiere riconobbe l'acquirente, dal volto più noto del cognome, giacché in pubblico si esibiva da oltre un decennio col nome d' arte: Jimmy Fontana, cantante e attore, vincitore del Disco per l' estate nel 1967, più volte in gara a Sanremo e al Cantagiro. Oltre alla musica Jimmy Fontana aveva l'hobby delle pistole, e comprò pure quella mitraglietta. Ma dopo averla acquistata scoprì che non gli piaceva, e decise di disfarsene. La vendette, a un ex poliziotto che conosceva, collezionista d' armi come lui: così raccontò ai magistrati quando gli chiesero conto della Skorpion.
Il poliziotto, convocato e interrogato, non confermò: «Se l'ho comprata dev'esserci una denuncia, se non c'è vuol dire che non l'ho comprata». Il contrasto rimase, e siccome l' eventuale reato di detenzione illegale di armi nel 1988 era prescritto, l'indagine della magistratura si fermò lì.
Come la Skorpion sia finita nelle mani dei “Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale “, gli assassini di via Acca Larentia, e in quelle delle Br, è rimasto un mistero.
Ma al di là delle sigle, visto che le armi sono sempre stata la «dote» che un militante portava con sé quando passava da un gruppo a un altro, con ogni probabilità qualcuno di coloro che partecipò all'agguato contro la sede del Msi approdò alle Br prima del 1985.

Inutile dire che a 32 anni dalla strage non è stato condannato nessuno, poco o nulla è servito il ritrovamento dell’arma, Bigonzetti e Ciavatta, che quel 7 gennaio furono uccisi da proiettili “ comunisti “ nello piazzo di via Acca Larentia non avranno giustizia, la loro morte è uno dei tanti episodi da lasciare impuniti.

Noi Fascisti, anno dopo anno continueremo a chiedere Giustizia e Verità! Non vogliamo, non possiamo credere ad altra verità appena sussurrata.

Molti elementi inducano a dubitare in un’azione dimostrativa dei sovversivi. Il fatto che la sigla che rivendico un attentato così efferato scompaia nel nulla rivela una prassi assolutamente diversa da quella sovversiva, gli accusati, oltretutto, non si dichiareranno prigionieri politici, a differenza di quanto facevano generalmente i terroristi "rossi".
E ancora dubbio deve ritenersi, considerati i precedenti nella "lotta al terrorismo" europea, il suicidio di Scrocca, che sarebbe stato assolto dal processo come gli altri accusati.
L'inaudita reazione delle forze dell'ordine, col capitano Sivori che spara volutamente ad altezza d’uomo davanti agli occhi di molti, uccidendo il giovane Recchioni. La "copertura" di Cossiga al suddetto capitano Sivori, che non subisce di fatto conseguenze venendo condannato solo per "eccesso colposo di legittima difesa" (Cossiga dichiarerà anni dopo di averlo coperto e di essere finito conseguentemente nel mirino dei NAR).
L’arma Skorpion rispunta fuori a metà degli anni '80 nel periodo delle BR di Senzani, quelle, per intenderci, ampiamente infiltrate dalla camorra e guidate dai servizi segreti. È opportuno rilevare, complessivamente, come l'agguato di Acca Larentia abbia generato un'ulteriore recrudescenza nelle tensioni tra gli opposti estremismi e contribuito al mantenimento di quello stato di tensione che per molti anni ha accompagnato la storia della prima repubblica: legittimo, dunque, il dubbio che l'agguato sia stato "commissionato" ad elementi esterni al terrorismo politico, proprio con questa finalità.


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