Dalla vittoria storica alla marcia su Roma

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Messaggio  Admin Ven 03 Ott 2008, 15:12

Il 31 luglio 1922 lo sciopero indetto dai socialcomunisti immobilizzò la vita della Nazione. Mussolini insorse, il popolo italiano gli fece coro. <<Diamo 48 ore di tempo allo Stato – scrisse Mussolini – perché dia prova della sua autorità, trascorso tale termine il Fascismo si sostituirà allo Stato che avrà ancora una volta dimostrato la propria impotenza >>.
Il Governo non intervenne. Mussolini il 16 ottobre decise la marcia su Roma.
Il 24 ottobre 1922 convennero a Napoli da ogni città d’Italia, accolte calorosamente dal popolo partenopeo, circa trentamila camice nere. Sfilarono perfettamente inquadrate e disciplinate con alla resta Mussolini che aveva sovrapposto alla camicia nera i colori di Roma. <<Aroma, a Roma>> gridarono squadristi e popolo in un delirio di passione. Mussolini, col suo discorso di Piazza Plebiscito, confermò l’intenzione di marciare sulla Capitale.
Facta, certo di scongiurare il pericolo, al momento giusto e con lo stadio d’assedio, telegrafò al Re: << Adunata fascista procedette tranquillamente,. Squadre fasciste stanno ripartendo stasera. Fino a quest’ora dunque nessun incidente. Credo ormai tramutato progetto marcia su Roma. Tuttavia, conservarsi massima vigilanza >>.
Dopo il discorso Mussolini riunì nell’albergo Bianchi, Balbo, De Bono, e De Vecchi che formarono il quadrunvirato che doveva dirigere l’insurrezione da Perugia, e, superando tutte le obiezioni per difendere l’azione, studio un piano tattico, strategico e logistico secondo una impostazione politica precisa e dispose che il 27 si doveva dare inizio alla mobilitazione della camice nere.
Ordinò di evitare a tutti i costi lo scontro a fuoco con la truppa regolare e di non accettare, per nessuna ragione, eventuali aiuti provenienti dall’Esercito. Di mobilitare solo cinquantamila uomini e di consegnare tutte le altre squadre fasciste sul posto per ostacolare il funzionamento degli organi provinciali. Il 26 Ciano e Grandi fecero avvertire il Re da Calandra che, se il Governo Facta non si fosse dimesso entro il 28, ci sarebbe stata la marcia su Roma. Facta non si dimise, si incontro con Badoglio dandogli mandato di difendere Roma. Badoglio, sebbene la massoneria non volesse, si rifiutò, demandando il compito al Generale Pecori Girali perché Roma apparteneva alla sua circoscrizione.
Mentre Mussolini, a Milano, ostentava la massima tranquillità facendosi vedere nei locali pubblici con la moglie e la mobilitazione continuava regolarmente, a Roma autorità militari e civili concordavano un piano di difesa. Il Governo rassegnava le dimissioni. Il Re, da San Rossore, rientra a Roma. L’Esercito italiano e le Guardie regie, che per anni avevano sopportato lo scherno e le offese dei socialcomunisti, salutavano il passaggio delle squadre fasciste accomunando ai loro evviva l’Italia, il Re e Mussolini. Il quadrunvirato lanciava ai fascisti il primo proclama:
<<Fascisti di Tutta Italia,
L’ora della battaglia decisiva è suonata. Quattro anni fa l’esercito Nazionale scatenò in questi giorni la offensiva che lo condusse alla vittoria: oggi l’esercito delle camice nere riafferma la vittoria mutilata e, puntando disperatamente su Roma, la riconduce alla Gloria del Campidoglio. Da oggi principi triari sono mobilitati. La legge marziale del Fascismo entra in vigore. Dietro ordini del Duce i poteri militari, politici e amministrativi della Direzione del Partito vengono riassunti da un Quadrunvirato segreto d’azione con mandato assoluto.
L’esercito, riserva e salvaguardia suprema della Nazione, non deve partecipare alla lotta, il Fascismo rinnova la sua altissima ammirazione all’Esercito di Vittorio Veneto. Né contro gli agenti della forza pubblica marcia il Fascismo, ma contro una classe politica di imbelli e deficienti che da quattro anni non ha saputo dare un governo alla Nazione. Le classi che compongono la borghesia produttrice sappiano che il Fascismo vuole imporre una disciplina sola alla Nazione e aiutare tutte le forze che ne aumentano l’espansione economica ed il benessere.
Le genti del lavoro, quelle dei campi e delle officine, quelle dei trasporti e dell’impiego, nulla hanno da temere dal potere Fascista. I loro giusti diritti saranno sinceramente tutelati.
Saremo generosi con gli avversari inermi: saremo inesorabili con gli altri. Il Fascismo snuda la sua spada lucente per tagliare i troppi nodi di Gordio che irretiscono e intristiscono la vita italiana. Chiamiamo Iddio Sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila morti a testimoni che un solo impulso ci spinge, una volontà ci accoglie, una passione sola ci infiamma: contribuire alla salvezza e alla grandezza della Patria.
Fascisti di tutta Italia!
Tendete romanticamente gli spiriti e le forze. Bisogna vincere.
E Vinceremo.
Viva l’Italia! Viva il Fascismo.
La sera del 27, mentre si susseguivano le notizie dell’occupazione da parte fascista di prefetture, questure, uffici pubblici, stazioni ferroviarie, porti e di tutti i punti nevralgici della vita nazionale, Facta concretizzava il piano di difesa al Ministero della Guerra con Soleri, Taddei, il Gen. Pugliese e il colonnello Carletti, poi convocava al Vicinale il consiglio dei Ministri che, pur essendo dimissionario, decide la stato d’assedio e lanciava un proclama alla Nazione, senza nemmeno consultare Sua Maestà il Re.
Per due volte, l’indomani 28 ottobre, Facta si recò dal Re per chiedere la promulgazione dello stato d’assedio. Vittorio Emanuele III rifiutò giudicando il decreto << non serio e non opportuno >>.
La sera del 28 ottobre l’Italia era nelle mani dei fascisti.
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