Palestina: la sua storia. Israele e il Presidente dell’Italia.

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Palestina: la sua storia. Israele e il Presidente dell’Italia.  Empty Palestina: la sua storia. Israele e il Presidente dell’Italia.

Messaggio  Admin Lun 23 Mag 2011, 23:37

Palestina: la sua storia. Israele e il Presidente dell’Italia.  La_ver11

Il presidente (compagno) della Repubblica italiana con le sua parole durante la visita in Israele ha messo in disagio il nostro popolo:
- Affermando: ''L'Italia sostiene fermamente il diritti di Israele di esistere e di esistere in sicurezza'';
- aggiungendo ''non e' accettabile considerare la fondazione dello Stato di Israele un disastro;
- concordando con il Padrone, Shimon Peres, il quale sfacciatamente ha affermato: il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen è un interlocutore «credibile» mentre è più preoccupata l'analisi che riguarda Hamas, che ha ottenuto la maggioranza dei seggi nella Striscia di Gaza”. Sulla cui striscia il popolo israeliano, all’inizio del 2009 ha riversato tonnellate di bombe, con l’aggressione chiamata “Piombo Fuso”. Peres, da prepotente israelita detta le condizioni affinché Hamas possa sedere al tavolo delle trattative, deve rispettare le condizioni poste da Ue, Usa, Onu e Russia: denuncia del terrorismo, riconoscimento dell'esistenza di Israele, accettazione degli accordi precedenti. Almeno l'ultima condizione, ha sottolineato Peres, non è soddisfatta perché Hamas continua a ricevere finanziamenti da Stati come l'Iran. Scordando d’aggiungere che Gazza, da anni, è sottoposta dal popolo israeliano ad un crudele embargo specie per i generi di prima necessità. Come dimostrato, anche, dall’attacco alla Freedon Flotilla, organizzata dalle comunità del volontariato internazionale in favore del popolo di Gaza.

L’imbarazzo è grande, considerata la coincidente festa israeliana nel 63° anno dall’occupazione del territorio palestinese, mentre gli arabi ricordano quell'evento con la giornata della Naqba, che in arabo significa appunto catastrofe o disastro, con la quale i palestinesi proprio lo stesso giorno hanno commemorano l'esodo di più di 800 mila connazionali.
Da prepotente, Shimon Peres, ha ricordato, al (compagno) Presidente Napolitano, come oltre 60 anni fa l'Onu (è meglio dire gli anglo-americani) ''decise la creazione di due stati, uno per gli ebrei e uno per gli arabi. Noi accettammo quella risoluzione, mentre gli arabi la rifiutarono: credo che la Naqba nacque allora e che noi non possiamo essere accusati di aver accettato una risoluzione dell'Onu e di aver poi difeso le nostre vite ''. Peres, ha scordando ancora una volta di aggiungere che, i sopravvissuti, godevano di grandi riserve auree e di armamenti sofisticati, forniti loro dai governanti anglo-americani, che permise loro di sconfiggere i governanti arabi occupando spazzi mai concessi loro dall’Onu.

Dopo 63 anni e migliaia di palestinesi assassinati, palestinesi e arabi chiedono che l’Onu riconosca lo STATO PALESTINESE, dando dignità di Nazione a suo popolo, ma lo stesso Peres, che decanta il riconoscimento Onu del 1948 agli ebrei di insediarsi sul territorio Palestinese, oggi aiutato dai cosiddetti governi occidentali è impegnato ad impedire che l’Onu si pronunci su questa risoluzione.

Ci chiediamo come fa il (compagno) Presidente Napolitano, a scordare che è stato eletto per rappresentare l’Italia solo dalla componente parlamentare della sinistra.
Di certo non rappresenta gli italiani che, come noi non scordano che i sionisti stanno occupando un territorio appartenente ad un altro popolo, assassinato crudelmente o costretto all’esodo.

Questa è storia di oggi. Noi di “Liberapresenza” vogliamo ricordare quanto accadeva lungo le sponde dell’Oriente Mediterraneo. La storia di ieri.

L’arroganza inglese e il mediterraneo negli anni del Fascismo.

Nazione mediterranea per la sua situazione geografica, per le sue relazioni economiche e commerciali, l’Italia ha ripreso sotto la guida del Fascismo, e con rinnovata coscienza, le grandi orme romane nel Levante.
Un territorio ci interessa per la sua tradizione religiosa e storica, per i problemi specifici che vi si attengono e che riguardano enti ed organizzazioni italiane: la Palestina, territorio che è tutto un patrimonio nostro di spiritualità, cultura, gloria, lingua, realtà possibilità di italiani e di cattolici.


Nel 161 a. C. Giuda Maccabeo, eroe dell’indipendenza di Israele, ammiratore della gloria di Roma e timoroso della sua potenza, ravvisò molto opportuno inviare messi alla Curia per chiedere l’alto onore di far annoverare il popolo giudeo fra i confederati ed amici dell’Urbe.
Il trattato di alleanza fu inciso su due tavole di bronzo: una consegnata agli ambasciatori, l’altra deposta in Campidoglio.
<<Prosperità sia in perpetuo ai romani e alla nazione dei giudei – suonava il trattato – e per mare e per terra, e stiano lungi da essi la guerra e il nemico; che se ai romani primieramente o ad alcuno dei loro alleati in tutto il loro dominio sovrasti una guerra, la nazione giudaica apporterà loro soccorso di tutto cuore, in quanto lo consentirà il tempo, ed i romani non daranno o forniranno ai combattenti né grano né armi né danaro né navi. Cosi è piaciuto ai romani ed i giudei osserveranno i loro comandi senza ricevere nulla da essi. Similmente se avvenga una guerra alla nazione giudaica i romani le presteranno aiuto di buon grado, in quanto lo permetterà il tempo, ed a quei che li aiuteranno non saranno dati né grano né armi né danaro né navi. Così è piaciuto ai romani.
Secondo questi termini i romani si sono alleati al popolo giudeo e se dopo tali fatti questo o quelli vogliono aggiungervi o togliere qualche cosa lo faranno d’accordo; e quando aggiungeranno o toglieranno sarà ratificato>>.
In virtù di tale trattato, i romani imposero per due volte al re di Siria il rispetto per il popolo di Israele, e favorirono l’estensione dei confini giudaici con la conquista della Samaria e della Perea.
Caduta la dinastia degli Asmonei, i successori, invidiosi dello splendore di Roma ed ostili al suo espansionismo, fecero cambiare la natura dei rapporti. Le armi romane comparvero allora sotto le mura di Gerusalemme; Pompeo, reduce dai trionfi del Ponto e dell’Armenia, fece prigionieri Aristobulo e conquistò, un sabato dell’autunno del 69 a. C., la città di Gerusalemme, cinta d’assedio per tre mesi.


Con questo battesimo di sangue ebbe inizio in Palestina il periodo romano.
Si successero dal 47 a. C. al 66 d. C. per volontà dei Cesari: Erode Agrippa il Grande, che entrò in Gerusalemme nel 37 e ne edificò le mura; Archelao, Filippo, Antipatie, Agrippa I; re e tetrarchi si avvicendarono a seconda dei momenti con i Procuratori romani; Coponio, Ponzio Pilato ed altri sino a Gessio Florio.
Quando Erode, arabo dell’Idumea da poco convertito al giudaismo, usurpò alla logorata dinastia teocratica degli Asmonei da dignità sovrana, Roma impose ai Giudei il riconoscimento dell’alta sovranità dell’usurpatore, che si dimostrò d’altronde una delle più ardite e geniali figure politiche dell’Oriente di allora.
Erode, riconosciuto dal Senato di Roma re della Giudea, nel 40 a. C., a due di distanza dalla battaglia di Filippi, aspirò subito, pur reggendo le sorti di un piccolo popolo rozzo e superstizioso, a conquistare uno dei primi posti nel vistoso codazzo dei satelliti di Roma. Nulla trascurò per mettersi quanto più possibile in vista e per ingraziarsi sempre più la benevolenza vantaggiosa del Senato. Contribuì con un contingente di milizie alla spedizione nello Yemen, capitanata da Emilio Gallo; e promuovendo vaste e diverse opere pubbliche intitolate a nomi cesarei, tentò, fra l’altro, di formare una monarchia romanizzante, amalgamando, in armonica fusione, i giudei e gli arabi barbari.
La politica di Erode – geniale e innovatrice – veniva però persistentemente avversata dal popolo ebraico, che, scontento ed irrequieto, lo detestava.
Erode morì nell’anno 4; la successione ed il titolo di re diedero motivo di aspra contesa fra i figli Archelao ed Antipatie: questi corsero a Roma per farsi riconoscere da Augusto la priorità di diritto alla sovranità; del naturale sbandamento, in cui venne a cadere la nazione, nel periodo di interregno, approfittò il partito nazionalista ebreo.
Un dissidio era sorto tra Sabino, procuratore inviato da Augusto a sostituire temporaneamente Erode, e Quintino Varo, governatore della Siria. Sabino mirava ad occupare la Palestina con una Guarnigione romana, durante l’assenza di Archelao; Varo, più pratico degli uomini e dei luoghi, temeva che ciò avesse a provocare nel partito nazionalista giudaico un atto disperato: il che avvenne. L’insurrezione fu stroncata dalle legioni di Quintilio Varo.
La Palestina finì per passare del tutto sotto l’amministrazione di un procuratore romano ed Archelao, deposto per ordine di Augusto, venne relegato in esilio nelle Gallie. Coponio, primo procuratore della Giudea, prese residenza nella capitale cesarea nell’anno 6 d. C. e Cireneo fu il primo prefetto.
La Palestina assimilò in breve tempo usi e costumi romani; monumenti furono innalzati a Roma e costruiti templi ad Augusto.
Sorsero teatri e anfiteatri a cesarea e a Gerusalemme; le antiche città furono riedificate ed abbellite; la toponomastica diventò squisitamente romana. Nuove città furono dedicate all’Imperatore: Cesarea Sul Mediterraneo, Cesarea di Filippo alle sorgenti del Giordano; Betsaida Giulia, Tiberiade, Diocesarea, Sebaste: fra tanto splendore di ricchezza e di gloria, rifulgeva di luce purissima Gerusalemme, la più suggestiva e la più forte città del mondo allora conosciuta.
Solo i giudei rimanevano insensibili a tanto sfarzo; non potevano rassegnarsi all’influenza di Roma ed insorsero nel 66 d. C. Nerone comprese la portata e la gravità dell’insurrezione e mandò in Palestina Vespasiano. Cinquantamila legionari raccolti a Tolemaide (cinque legioni, due coorti egiziane e coorti ausiliarie) costituirono il corpo di spedizione. La campagna ebbe inizio nella primavera del 67; Bezetha ed Acri furono espugnate nel luglio, Sion nel settembre. L’assedio di Gerusalemme subì ritardo per la morte di Nerone. Vespasiano Augusto, nominato imperatore, cede al figlio Tito il comando contro i giudei.
L’assedio di Gerusalemme cominciò nella Pasqua del 70 d. C. cadde la cinta esterna che era stata edificata da Erode Agrippa nel 40 d. C.; dopo nove giorni cede la seconda ed il 29 maggio fu superato l’ultimo baluardo: la torre Atonia.
Il Tempio edificato da Salomone, nel periodo più luminoso della storia ebraica, la meraviglia delle meraviglie, fu preda del fuoco il 22 luglio: non rimase pietra su pietra.
I legionari piantarono le aquile imperiali dinanzi l’antiporto, entrarono nel Santo dei Santi, e proclamarono Tito imperatore, sulle rovine del tempio di Jehovah.
Gerusalemme, tre volte distrutta da Nabucodonosor, ricostruita da Ciro nel 536 a. C., subì la quarta distruzione.
Da allora il popolo giudeo non fu più il popolo di Dio, siccome avevano predetto i profeti:
Gerusalemme fu rasa al suolo e per volere di Tito restarono solo, a memoria del valore romano, le torri: Erodiate, Hippica, Fasaele e Marianne.
Cesarea fu ribattezzata in Colonia Prima Flavia, Naplusa in Flavia Neapolis; la Palestina definitivamente dichiarata provincia romana; Gerusalemme sottoposta a tributo e gli ebrei per sempre dispersi per le plaghe del mondo, con la grande <<diaspora>>.
A memoria di tale trionfo fu coniata una moneta che recava a grandi lettere, intorno alla testa dell’Imperatore cinta d’alloro, la terribile sentenza <<Iudaea capta>>.
Sulla via Sacra, sulla cima della Velia, il magnifico arco trionfale di Tito, in marmo pentelico, commemora nei secoli la presa di Gerusalemme.
Nel bassorilievo interno appaiono scolpiti il candelabro a sette bracci, la tavola d’oro e il libro della legge salvati dall’incendio del tempio di Salomone e deposti in Campidoglio nel Tempio della Pace, ed è ritratto anche il vincitore romano, incoronato dalla Dea Vittoria, sul carro trionfale.
Gli ebrei sbrancati e disorientati, tentarono con ogni mezzo di fomentare rivolte altrove. Quando seppero che Adriano vagheggiava riedificare una città pagana sulle rovine di Gerusalemme, esaltati dalla foga messianica del sedicente profeta Simone Bar Kokaba, approfittando dell’assenza delle legioni romane distolte dalla Giudea per altra guerra, rioccuparono nel 132 Gerusalemme e le città principali. Furono debellati dalle legioni di Caio Giulio Severo e Gerusalemme vide un tempio a Giove Capitolino, costruito da Adriano sui ruderi di quello di Salomone ed un tempio a Venere, sui luoghi santificati dalla Passione e Resurrezione del Nazzareno.
Gerusalemme fu nominata <<Aelia Capitolina>>, e tale nome le rimase sino all’epoca di Costantino; il nome di Giudea fu sostituito con quello di Siria Palestina.
Ai giudei, sotto pena di morte, fu negata ospitalità in Gerusalemme e fu solo loro permesso che, una volta all’anno, piangessero sulle rovine di Sion, loro nazione frantumata.


La civiltà romana, nel lungo periodo della sua storia in Palestina, lasciò tracce imperiture, come rivelano le meravigliose vestigie di strade, acquedotti e monumenti, ed al di qua e al di là del Giordano impresse lo splendido sigillo della sua arte e della sua somma saggezza politica.
La densità di popolazione, nella fulgida epoca degli Antonini, raggiunse i 95 e 115 abitanti per Kmq., oggi (1940) ne conta 33.
Caio Flavio Costantino il Grande, nel 313, accettò e riconobbe con l’editto di Milano, la religione di Cristo religione ufficiale dell’Impero.
Nel 335 sorse, per sua volontà, il tempio del Santo Sepolcro; vicino ne sorse un altro ove la tradizione vuole che sua madre S. Elena avesse, nel 326, rinvenuto il legno della Santa Croce, sotto le rovine del tempio Adrianeo di Venere.
Sempre per volontà di Costantino, furono costruite le basiliche sulle grotte della Natività in Betlemme e sulla casa di Gesù a Nazaret.
Gli ultimi superstiti delle comunità ebraiche, scacciati dai territori Santi, non ancora del tutto domi e rassegnati al triste destino di profughi, tentarono con un ultimo disperato gesto di opporsi alla volontà imperiale di Roma e furono definitivamente debellati da Gallo.
L’emigrazione italiana in Terra Santa andava nel Frattempo accentuandosi; nel IV secolo aveva potuto raggiungere vaste proporzioni. S. Girolamo di Scardina esclamava con orgoglio: <<Roma è qui>>.
E non fu emigrazione amorfa di masse diseredate spinte da bisogno o da ingordigia; trasmigrarono in Palestina molti illustri cittadini romani: vi si trovano S. Eusebio di Cremona, S. Paola della stirpe degli Scipioni e dei Gracchi, discendente dalla <<gens Valeria>>; gran numero di italiani votatisi a vita di purezza e di sacrificio.
Dopo il trasferimento della capitale dell’Impero a Costantinopoli la Palestina venne a trovarsi sotto la diretta dipendenza politica di Bisanzio.
Il dominio dell’opulenta Bisanzio venne, però, bruscamente interrotto dall’invasione dei persiani.
Gerusalemme fu assaltata e devastata dalle orde di Chroscè II, validamente aiutato dai giudei; i cristiani furono massacrati.
Quindi anni dopo, in una delle più geniali azioni guerresche del morente Impero, Eraclio, della <<gens Flavia>>, la riconquistò e la tenne fino al 637; la città cadde di nuovo preda delle travolgenti orde arabe del secondo successore legittimo del profeta, il califfo Omar; questi però concesse ai fedeli di Cristo di serbare le loro chiese e santuari.
Raccontano le cronache che volle egli stesso recarsi al Santo Sepolcro, ma non vi pregò, temendo che i seguaci ne prendessero pretesto per trasformare il Santuario cristiano in moschea, violando il trattato conchiuso.
Il dominio arabo durò sino al 1074. Gerusalemme cadde in potere dei Turcomanni Selucidi.
L’Europa, feudale e cavalleresca, presa da rinvigorito sentimento religioso e mistico amore per la Terra Santa, bardata di ferro, permeata di fede ed accesa di eroismo, si mosse alla liberazione della Città santa.
Le crociate, in effetti, altro non intesero che riaffermare l’imprescindibile diritto della chiesa cattolica sulla Palestina e costituirono, per così dire, <<la questione d’Oriente>> nel medio evo; l’aspetto religioso ne implicava un altro squisitamente politico.
Nel periodo medioevale, la religione rappresentava in occidente una delle più potenti leve morali e le crociate avevano così premuto sulla immaginazione infervorata delle masse, che fecero assumere all’eroica impresa il significato di un alto dovere religioso: impresa preminente di politica cattolica, la più grande, forse, dalla chiesa di Roma; manifestazione inconfondibile di volontà; preminenza assoluta dei latini contro l’assenteismo bizantino.
Goffredo di buglione, duca di Lorena, fu il condottiero della prima crociata.
Un piacentino a nome Raimondo – come narra la tradizione – sembra fosse il primo crociato.
Le prime partenze avvennero dalle contrade dell’Italia settentrionale.
Tra i prodi cavalieri fu Tancredi, cantato dal Tasso.
In Gerusalemme, accanitamente contesa e liberata la mattina del 15 luglio 1099, entrò – verso l’ora nona – Vittorio Umberto di Savoia, Conte di Moriana.
Goffredo, designato dai Principi italiani Re di Gerusalemme, rifiutò la corona d’oro dove Cristo aveva cinto quella di spine e volle assumere i poteri col solo titolo di <<avvocato del Santo Sepolcro>>.
La Palestina, stato latino con leggi e costumi d’occidente, durò sino al 1244; cadde in tale epoca sotto il dominio dei Corasmi che erano scesi dall’Asia centrale.


La tendenza di insistere, studiando le epoche delle crociate, soltanto sugli episodi di guerra e di lotte, fa troppe trascurare il fatto assai importante che, in mezzo a queste lotte e a queste guerre, ebbe a realizzarsi un vero scambio di rapporti tra l’Oriente mussulmano e l’Occidente cristiano.
La vita mediterranea aveva acquistato una intensità di sviluppo che riportava allo splendore della più fulgida epoca romana.
L’islamismo tentava però dilagare prepotentemente e finì con l’urtarsi con la Sovrana dell’Adriatico – Venezia - la più forte potenza marittima di tutto il mondo occidentale.
Il massacro di 40.000 cristiani, ordinato da Maometto II allorché occupò Costantinopoli – 29 maggio 1453 – la confisca in pari tempo di tutti i possessi dei mercanti italiani provocarono il tragico duello. Venezia, uscita allora vittoriosa dai combattimenti contro gli ungheresi ed i suoi nemici interni, si mosse nel maggio 1463: il comando generale delle forze marittime era tenuto da Luigi Loredano; quello delle truppe di terra da Bertoldo d’Este.
L’espugnazione di Atene – 1466 – fu un colpo terribile per la potenza sempre più minacciosa dei turchi; Maometto IV giurò a Costantinopoli di sterminare tutti i cristiani – 2 agosto 1469 - : <<prometto al Dio unico, creatore di tutte le cose, che per mio voto io non vorrò il sonno dei miei occhi, se non avrò il sonno dei miei occhi, se non avrò prima fatto cadere ai piedi dei miei cavalli gli iddii delle nazioni cristiane, quegli iddii di legno e d’oro e d’argento o di pittura che i discepoli di Cristo si son fatti di loro mani; e giuro che sterminerò tutte le loro iniquità dalla faccia della terra da levante a ponente, per la gloria di Allah e il suo grande profeta Maometto>>:
L’urto formidabile si ripeté per ben tre volte, e culminò nella gloriosa vittoria di Lepanto.
Il trattato di pace di Carlowitz – 26 gennaio 1966 – ne segnò la caduta definitiva.
Ebbe inizio in Palestina un periodo di graduale generale abbandono: storia senza interesse per le nostre relazioni; e per ben due secoli, altri si contesero il dominio della Palestina.
Il corso Bonaparte, mosso da motivi politici, avanzò in Palestina proveniente dall’Egitto, con un esercito di 13 mila uomini (campagna 1798-1799). Conquistò Giaffa, assediò S. Giovanni d’Acri ed entrò in Caiffa; non poté proseguire il suo sogno d’avanzare in Siria, perché costretto al ritorno in Egitto, dalla pestilenza scoppiata fra le truppe e dalla mancanza di forze adeguate.
Nel 1832 la Palestina venne conquistata dal Viceré d’Egitto, Ibrhim Aly ben Mohamed. In virtù della convenzione di Kutaiék 1883, Ibrhim Aly ben Mohamed riuscì a creare, per breve tempo, dalla Palestina e Siria, un regno indipendente.
Le flotte inglese, prussiana, austriaca e russa, alleata alla sublime Porta, lo costrinsero a ritirare le truppe. La Palestina ritornò, cosi, sotto la dominazione turca – trattato di Londra 1840 – e vi rimase sino alla fine della 1° guerra mondiale.


Nell’agosto del 1914, scoppio in Europa la grande conflagrazione; la Turchia si schierò nell’ottobre a lato delle potenze centrali.
Il 3 febbraio 1915, fallito sotto il fuoco delle corazzate francesi il colpo di mano turco-tedesco, voluto dal governo dei <<giovani turchi>> e diretto da Kemal Pascià, con il quale si era tentato il passaggio del canale fra Ismailia e Suez, e fallito ancora il rinnovato attacco del 4 agosto 1916, a venti chilometri da Porto Said, l’Inghilterra diede inizio ad un suo grande programma politico.
Alla fine del giugno 1917, il War Office ritenne di richiamare il generale Muray dal Comando dell’esercito britannico in Egitto (Egyptian Expeditionary force) e di sostituirlo col generale di cavalleria Sir Edmund H. H. Allemby.
All’Allemby non furono fissati obiettivi geografici: unico obiettivo dove essere la disfatta o meglio ancora la distruzione di tutte le forze turco-tedesche nello scacchiere siro-palestinese, il che avrebbe portato ad analogo successivo risultato nello scacchiere mesopotamico.
L’Italia intervenne in Palestina con un notevole contingente di forze (fanti, bersaglieri, carabinieri): le nostre truppe furono dapprima disposte dietro quelle inglesi, che operavano a sud-est di Gaza; poscia riunite con le truppe francesi ed indiane in una speciale colonna promiscua. Il settore assegnatosi – sempre brillantemente sostenuto – fu uno dei più lunghi e pericolosi.
Le operazioni ebbero inizio nell’ottobre 1917; il 31 ottobre fu occupata Bir-es- Seba; il 7 novembre, dopo fieri attacchi, Gaza, il 16 Giaffa.
Il comandante turco di Gerusalemme notificò il 9 dicembre 1917 la resa della città: il Generale Allemby vi entrò alle ore 12 dell’ 11 successivo.
Alla torre di Fasaele, nota da secoli col nome di <<Castello dei Pisani>>, il Generale Allemby ordinò che un francescano leggesse al popolo un breve significativo proclama: lo fece ripetere anche in italiano.
Dopo aver annunziato l’occupazione della città e la promulgazione della legge marziale, rassicurò tutti gli abitanti senza distinzione di stirpe, di classe e di fede e conclude: <<poiché la vostra città è considerata con affetto dai seguaci di tre fra le grandi religioni dell’umanità e il suo è stato per molti secoli reso sacro dalle preghiere e dai pellegrinaggi del popolo devoto di tutte e tre queste religioni, io vi notifico che tutti gli edifici sacri, i monumenti, i luoghi di culto, i santuari, le località legate a tradizioni e cerimonie religiose, i siti di riunione o di preghiera abituale per qualsiasi forma o rito di queste tre religioni, saranno conservati e protetti secondo le costumanze esistenti e in conformità delle credenze di coloro per i quali essi hanno valore di una cosa sacra>>.
Giova sottolineare che quando si parla di religione in Oriente, si parla di nazione; la religione altro non è che il vincolo che unisce gli individui della comune origine.
Sul piazzale dell’ex caserma turca, fecero atto di sudditanza al generale Allemby, le rappresentanze delle tre comunità religiose: Cristiana, ebrea e mussulmana; indi le autorità civili della città santa. Il generale le presentò ai due comandanti, francese ed italiano.
Il passaggio di Gerusalemme al governo dei Cristiani (se non proprio cattolici) fu segnato da tale storica, austera cerimonia: erano trascorsi sette secoli di dominio turco.
Il generale Allemby conquistò la Galilea e la Samaria occupando Giaffa il 23 settembre 1918.
Dopo alterne vicende e serrate lotte riuscì ad aprirsi la via su Baghdad ed il 25 settembre entrò in Amman, dopo aver sbaragliato l’esercito turco in Siria, ultimo presidio del vacillante impero ottomano. Seguì la presa di Aleppo, avvenuta il 28 ottobre.
All’armistizio di Mudania, 31ottobre 1918, la Palestina, la Siria e la Mesopotamia si trovarono,cosi, completamente occupate dalle truppe britanniche, operanti in nome degli alleati, rappresentati da distaccamenti italiani, francesi ed americani.


Il presidente Wilson, sebbene avesse, durante la guerra, costantemente affermato la necessità di costituire la Società delle Nazioni, come chiave di volta della pace futura, si era presentato, come è noto, alla conferenza della pace col fermo proposito di costituirla e farla valere ad ogni costo, ma senza un piano preciso da proporre all’approvazione degli alleati, solo perorando pochi principii fondamentali, vaghi, tutt’altro che formulati.
Uno dei principi cui annetteva molta importanza, era quello dei mandati. Si trattava, secondo lui, di un istituto di assai vaste proporzioni, che doveva servire a tutelare l’indipendenza e favorire lo sviluppo di civiltà
Presso popoli meno progrediti, una semplice forma altruistica di assistenza, creata non nell’interesse del mandatario, ma nell’interesse esclusivo dell’assistito.
A forza di transigere con gli alleati, Wilson dovette accogliere, però, tali e tante transazioni, che l’istituto ne uscì completamente alterato, in forma equivoca, incerta e contorta. Se poté affermare di aver vinto ed essere soddisfatto dalla vittoria, in realtà il vincitore non fu lui, bensì gli Alleati che riuscirono nell’intento di conseguire praticamente quel che volevano.
Dalla concezione assai vaga del mandato uscì il famoso articolo 22, posto a base del trattato di Versailles.
<<Alle colonie e ai territori che in seguito alla prima guerra mondiale hanno cessato di trovarsi sotto la sovranità degli Stati che prima li governavano e che sono abitati da popoli non ancora in grado di reggersi da sé, nelle difficili condizioni del mondo moderno – sanciva l’articolo – si applicherà il principio che il benessere e lo sviluppo di tali popoli è un compito sacro della civiltà… .>>.
<< il metodo migliore per dare effetto pratico a questo principio è di affidare la tutela (tutelage) di questi popoli a Nazioni progredite che, grazie ai loro mezzi, alla loro esperienza e alla loro posizione geografica, possano meglio assumere questa responsabilità e siano disposte ad accettare tale incarico; questa tutela dovrebbe essere esercitata dalle medesime come mandatarie della Società e per suo conto.
Il carattere del mandato dovrebbe variare secondo il grado di sviluppo del popolo, la posizione geografica del territorio, le sue condizioni economiche ed altre circostanze simili… .>>.
<< Alcune comunità che appartenevano prima all’Impero turco, hanno raggiunto un grado di sviluppo tale, che la loro esistenza come Nazioni indipendenti può essere provvisoriamente riconosciuta salvo il consiglio e l’assistenza amministrativa di una potenza mandataria finché non saranno in grado di reggersi da sé. I desideri di queste comunità dovranno essere principalmente tenuti in conto nella scelta della Potenza mandataria (mandato A).
<< Altri popoli, specie nell’Africa centrale, sono in tale stato che il mandatario dovrà rispondere dell’amministrazione del territorio, a condizioni che garantiscano la libertà di coscienza e di religione, limitata solo in quanto sia necessario per il mantenimento dell’ordine pubblico e del buon costume, il divieto di abusi, come il commercio degli schiavi, il traffico delle armi e dei liquori, e il divieto di stabilire fortificazioni e basi militari o navali, e di dare agli indigeni una istruzione militare per scopi diversi dalla polizia e dalla difesa del territorio; a condizioni, altresì, che assicurino agli altri membri della Società vantaggi eguali per il commercio ed il traffico (mandato B).
Vi sono territori, come quelli dell’Africa sud-occidentale e talune isole del Pacifico australe, che, per la scarsa densità della popolazione, per la piccola superficie, per la lontananza dai centri della civiltà, per la continuità geografica dello Stato mandatario e per altre circostanze, possono meglio esser amministrati secondo le leggi del detto Stato come parti integranti del suo territorio, salvo le garanzie predette nell’interesse della popolazione indigena (mandato C)>>.
Per una serie di eventi, i mandati di tipo A si ridussero a tre: la Siria, la Mesopotamia, la Palestina; e per altra serie di eventi, al convegno di S. Remo – 26 aprile 1930 – venne affidato all’Inghilterra il mandato sulla Mesopotamia e sulla Palestina ed alla Francia il mandato sulla Siria.
Dall’art. 22 era stato desunto:
- la Siria, la Mesopotamia e la Palestina possono essere provvisoriamente riconosciute come Nazioni Indipendenti, ma finché non saranno in grado di reggersi da sé hanno bisogno del consiglio e dell’assistenza amministrativa di una potenza mandataria;
- nella scelta di tale Potenza si dovranno principalmente tenere in conto i desideri di questa comunità;
- la Nazione mandataria deve essere una Nazione progredita, la quale, per i suoi mezzi, la sua esperienza, la sua posizione geografica, può meglio assumersi la responsabilità di tale incarico;
- la potenza mandataria deve unicamente preoccuparsi del benessere e dello sviluppo del popolo sottoposto al mandato;
- la tutela è esercitata dalla Nazione mandataria come mandante della Società delle Nazioni, e per suo conto… .>>.


L’Inghilterra - potenza mandataria per la Palestina – doveva anche considerarsi responsabile dell’esecuzione di una dichiarazione fatta il 2 novembre 1917 dal proprio Governo (dichiarazione Balfour) accolta dai governi liberali delle altre potenze alleate.
Durante il 1° conflitto mondiale, gli alleati avevano ritenuto utile assicurarsi il favore del movimento sionista. Centro pratico di tale movimento era Berlino; centro politico, Londra. Con la guerra, prevalse la tendenza politica, specie quando si intravide, con la vittoria dell’Intesa, la possibilità di acquisire la Terra promessa quella per cui l’israelita ripete ogni anno, alla vigilia di Pasqua, <<l’anno prossimo a Gerusalemme>> e giura <<se mai ti dimenticassi, o Gerusalemme, che la mia mano destra sia dimenticata , che la mia lingua rimanga al mio palato. …>>.
Per la conquista della terra perduta si formò, persino, una legione israelita, inquadrata nelle truppe Inglesi, per rappresentare il popolo di Israele disperso per il mondo.
Lord Balfour, ministro degli esteri, aveva diretto, in data 2 novembre 1917, a Lord Walter Lionel Rothschild, presidente della Federazione sionista inglese, una lettera in cui diceva:
<<ho il grande piacere di indirizzarvi, da parte del Governo di Sua Maestà, la Dichiarazione seguente di pieno favore per le organizzazioni sioniste, Dichiarazione, che, sottoposta al Gabinetto, ne ebbe l’approvazione.
Il Governo di sua Maestà vede con benevolenza l’istituzione in Palestina di un national home per il popolo ebreo, e farà del suo meglio perché tale fine possa essere raggiunto: restando bene inteso che nulla si farà che possa recar pregiudizio, tanto ai diritti civili e religiosi delle comunità non israelitiche che sono nella Palestina, quanto ai diritti e alla condizione politica di cui gli ebrei godono in qualunque altro paese…>>.
Il Governo francese, si dichiarò favorevole per mezzo del suo ministro Pichon; l’Italia per mezzo dell’on. Sonnino.
Wilson aderì al programma di Balfour, assicurando il Presidente per gli affari sionistici di New-York.
Apertasi la conferenza della pace, gli ebrei si affrettarono ad inviare un loro memoriale, in cui,oltre ad insistere sulla rivendicazione di una sede nazionale in Palestina, si dilungarono a precisarne i confini, perché desideravano ricostruire la Palestina storica ed assicurarsi i corsi d’acqua necessaria alla sua irrigazione ed un porto sul Mar Rosso.
Contro tali pretese, non mancarono vive opposizioni. In realtà la istituzione della sede nazionale appariva come il punto iniziale della formazione di un vero e proprio stato nazionale ebraico che, con la potenza del denaro e della cultura e con la forza del potere, avrebbe finito per espropriare ed annichilire la popolazione locale. Contro gli ebrei si levarono, cosi, insieme e compatti, mussulmani e cristiani, ritenendo che i sionisti aspirassero ad una Palestina solo ebrea.
Dal 1922 ad oggi (1943) la popolazione della Palestina è cresciuta e conta circa un milione di individui di cui 600 mila mussulmani, 75 mila cristiani compresi 25 mila cattolici. Gli ebrei sono saliti a 130 mila circa. I 600 mila mussulmani sono, nella grande maggioranza, di origine araba. Dal punto di vista etnografico il problema della Palestina appare cosi essenzialmente arabo e l’aumento degli ebrei, in dipendenza delle immigrazioni, non sembra possa spostarne l’aspetto generale.
Abbiamo visto come sia andato sempre più crescendo l’urto fra gli arabi e gli ebrei: l’insurrezione ha avuto ed ha pagine tragiche di sangue.
Gli arabi sentono che non basta frenare il numero degli immigrati e che i dominatori del paese si avanzano inesorabilmente; di qui la riscossa, le reazioni cruente, un implacabile rifiuto di collaborare. Gli ebrei, a loro volta, appoggiati aduna potente ed influente organizzazione internazionale, hanno preso in mano i posti di comando, terre, concessioni e costruito la città di Tel Aviv; la loro attrezzatura è notevole anche nel campo sindacale, cooperativo, culturale.


Il valore della <<Dichiarazione Balfour>> è oggi (1943) molto ridotto a causa del risveglio del mondo arabo.
La Palestina, apparentemente tranquilla dopo la cessazione dello sciopero generale arabo (per l’intervento pacificatore dei principi e re di Trangiordania, Irak, Heggiaz, Yemen) è tornata nuovamente ad agitarsi.
La pubblicazione del rapporto Peel ha suscitato movimenti di veemente protesta nel mondo arabo mussulmano di tutta l’Asia Minore.
Le misure così dette <<della mano forte>> adottare dall’Inghilterra verso l’elemento arabo dirigente della Palestina, ha suscitato una impressione così vasta e profonda ed un senso di reazione cosi violenta da portare alla creazione di un vero e proprio movimento panarabico in tutti gli strati delle popolazioni arabe a difesa di quei principi nazionali che esse ritengono oramai conculcati dalla forma politica di repressione usata dalla Gran Bretagna nei loro riguardi.
Per la Gran Bretagna, la Palestina dovrebbe essere divisa in tre settori: un settore arabo, un settore ebraico, un settore internazionalizzato. Sarebbero previsti anche:
- la decadenza del mandato palesatine sul settore arabo e su quello ebraico (assurti a Stati autonomi ed indipendenti);
- la costituzione di un mandato per la zona internazionalizzata, che comprenderebbe la città e monumenti sacri (cristiani, ebrei, mussulmani;
- l’annessione al settore arabo della Transgiordania, perché la riunione dei due territori possa permettere la formazione di un nuovo regno arabo, capace di partecipare al progresso del mondo islamico, sullo stesso piede degli altri stati correligionari, cui è data l’indipendenza;
- trattati di alleanza e trattati militari per collegare lo stato ebraico e quello arabo all’Inghilterra; questa si riserverebbe una parte di territorio nella zona nord-occidentale del Golfo di Akaba.
A costituire, per quanto è possibile, stati unitari dal punto di vista nazionale, il rapporto pare preveda anche una eccezionale emigrazione di arabi dallo stato ebraico nel nuovo stato arabo.
Il rapporto Peel è stato esaminato dalla commissione dei mandati della S. d. N. secondo la commissione, il conflitto tra le aspirazioni dei due elementi di popolazione in Palestina doveva per forza nascere ed era atteso, ma è stato accentuato da circostanze che venti anni or sono (1920) non potevano essere previste; la politica di conciliazione è fallita, per la Gran Bretagna, è naturale, pertanto, e legittima la spartizione del territorio; agli arabi sono aperte larghe possibilità di espansione in Oriente, mentre agli ebrei è chiuso quasi tutto il mondo; ciò lascerebbe comprendere che si ha intenzione di favore gli ebrei nella spartizione del territorio.
La commissione di Ginevra – da quanto si rileva nella stampa cittadina – non aderisce alla creazione immediata di due Stati indipendenti, considerando opportuno un periodo di addestramento alla libertà politica, periodo necessario sia al nuovo stato degli arabi che a quello ebraici; tale idea sarebbe concretata dalla proposta modifica dell’attuale mandato in due distinti mandati. I due Stati da creare dovrebbero rimanere sotto mandato fino a quando non abbiamo dato prova di sapersi governare da soli; ben si comprende come tale momento potrebbe non essere lo stesso per tutti e due.
L’Inghilterra rimarrebbe, in conclusione, assisa in Palestina, proseguendo e rinforzando, anzi, in posizione strategica di cosi alta importanza, il proprio gioco di potenza imperiale, tanto in rapporto al Mediterraneo, che al controllo della zona araba, via terrestre ed aerea, verso il Golfo Persico e le Indie. Vale a dire, il solido divide et impera……

A questi anni seguiranno gli anni del dolore, del popolo palestinese, al quale i paesi asserviti al capitalismo sionista, continuano a attribuire tutte le responsabilità.
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