“Il Giornale” le sue frottole.

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Messaggio  Admin Mar 24 Mag 2011, 23:43

“Il Giornale”  le sue frottole.   Gabrie11
“Il Giornale” le sue frottole.

Ancora una volta si rileva il servilismo dei giornalisti di sinistra e di destra al capitalismo. Abbiamo già scritto di un opinionista del quotidiano “La Repubblica”, oggi ci occupiamo di un opinionista di un’altro quotidiano “Il Giornale” il primo è asservito alla sinistra il secondo alla destra di governo.

Mercoledì 11 maggio 2011, Gabriele Villa, al pari di molti giornalisti, asservito ad un padrone, per i molti uomini invisibile, commendando uno dei tanti suicidi che ogni giorno si susseguono in Italia, non ha perso occasione per attaccare il ventennio Fascista.

Nel descrivere il suicidio di un noto medico di Cremona di sessantacinquenne, Pietro Ercole Mola, scrive: “C’è il peso di un colpa da espiare magari addirittura anche se la colpa è di un altro. Un amico, un parente, un genitore.
Il suicidio fa scalpore, perché Pietro Ercole Mola, medico molto conosciuto a Cremona per il suo impegno al pronto soccorso dell’ospedale, era figlio di una delle figlie del Camerata Roberto Farinacci, Segretario del P.N.F. dal 1925 al 1926, per darsi la morte ha scelto la tomba del nonno, infatti ha deciso di spararsi, il 10 mattina, un colpo di fucile al petto, proprio sulla tomba del nonno Farinacci.
Su quella tomba l’hanno trovato alcuni addetti del cimitero. Accanto al cadavere è stato trovato un suo biglietto sul quale sarebbero riportate semplicemente delle disposizioni testamentarie, nulla di più.

Noi di Liberapresenza non abbiamo nessuna intenzione di entrare nel merito del suicidio ritenendo la vita Sacra. Credendo che ogni morte deve servire da esempio per la vita.

A commentare la morte di un medico, nato dalla figlia di un Eroe Fascista quale fu il CAMERATA FARINACCI, è come detto uno dei tanti servi del capitalismo italiano, il quale scrive, Pietro Ercole Mola, mostrava uno straordinario legame verso il nonno Farinacci, ma era lontano dalla politica, si limitava a partecipare di anno in anno alla commemorazione, che ricordava le figure del nonno Farinacci e di Benito Mussolini, che si tiene in Aprile proprio al cimitero di Cremona. Puntualmente, anche quest’anno, il 30 Aprile aveva preso parte alla cerimonia e aveva letto pubblicamente una preghiera sulla tomba del nonno.

Gabriele Villa, se si fermava a queste enunciazioni, probabilmente non avremmo avuto nulla da dire, ma questo infame ha pensato che i lettori de “Il Giornale” al pari dei lettori de “La Repubblica” avrebbero gradito leggere una serie di ingiurie nei confronti dei Fascisti ancora oggi perseguitati - come al tempo dei romani lo furono i Cristiani - da infami leggi antidemocratiche. Additare Farinacci, non solo come uno dei fondatori dei Fasci di Combattimento, ma anche, come uno degli organizzatori e promulgatore dello squadrismo, decisivo per l’affermazione mussoliniana nelle campagne della pianura padana. Indurre i lettori all’atroce dubbio che il suicidio di Pietro Ercole Mola sia dovuto ad, un peso sul cuore, un’angoscia insopportabile. Il peso di un nonno tanto controverso, e ancora tanto odiato (dai servi dello straniero).
Scrive, chissà, se il suo frequente ritornare sulla tomba di quel nonno era per pregare, o forse per espiare, le colpe di quell’uomo? Che gli aveva segnato in qualche modo la vita.
Difficile dirlo. Difficile interpretare il suo gesto. Certo la Storia ha seminato esempi illustri di quel peso, spesso insostenibile, che figli, nipoti, parenti hanno provato portandosi appresso il fardello di un cognome controverso e magari odiato.

Gabriele Villa, và oltre, trovando il parallelo più recente nella Spagna dei giorni nostri. Dove proprio pochi giorni orsono, Niklas Frank, 71 anni, figlio di Hans Frank governatore nazista che in Polonia venne tristemente soprannominato il «macellaio», per le sue improbabili stragi e le sue presunte repressione nel campo di concentramento, che ha confidato al quotidiano El Pais la sua vita di tormenti e di rimorsi. La sua angoscia costante che, ancora adesso a 71 anni, lo costringe a vivere di incubi e cercare di espiare le colpe del padre attraverso conversazioni sul nazismo con gli studenti, e con il racconto, spesso autobiografico, racchiuso in alcuni libri, che ha voluto scrivere con spirito fortemente critico nei confronti del regime hitleriano. «L’umanità -si è sfogato- non si è liberata, non è riuscita a liberarsi del passato nazista. Ma per molti sembra che il nazismo sia ancora solo un mio problema. Un problema con cui ho dovuto e devo fare i conti ogni giorno».

Il forzato parallelo, fra l’angosciato Niklas Frank, e (fin qui) il sereno Pietro Ercole Mola, dimostra la profonda malafede del opinionista Gabriele Villa, che utilizzando questo assurdo fatto di cronaca ha offeso la memoria di un Camerata, quella di Roberto Farinacci, un GRANDE che ha legato la sua esistenza alla storia del Fascismo, dall’inizio alla sua fine. Definire Farinacci uno degli organizzatori e promulgatore dello squadrismo, in vero, né riconosce le capacità, ma l’intendo è quello di screditarne la sua memoria, individuando lo squadrismo (come violenza) non come forma militante e di autodifesa, come dimostrato dalla storia degli anni 1919-1922, ma come gruppi che adottavano la violenza senza alcuna motivazione.
Tra l’altro, identificare il nazismo con le finalità del fascismo è da barbari, anche se la magistratura italiana, negli anni del berlusconismo a inteso assimilarli, la storia Fascista era ed è tutt’oggi un’altra cosa. Basta leggere il Mein Kampf e

Roberto Farinacci, nasce ad Isernia il 16 ottobre 1892, muore a Vimercate il 28 aprile 1945.
Figlio di un commissario di pubblica sicurezza, da ragazzo segue il destino del padre, trasferendosi prima a Tortona in Piemonte e successivamente a Cremona. Lascia la scuola alla ricerca di un lavoro, che trovò all’età di 17 anni nella ferrovia di Cremona nella quale presta servizio dal 1909 al 1921, da giovane -come la maggioranza di quanti divennero fascisti-, dette inizio alla propria attività politica all’interno della organizzazione socialista, in particolare si occupò del sindacato contadino.
In seguito divenne corrispondente de “Il Popolo d’Italia” di Benito Mussolini, per la provincia di Cremona.
Come Mussolini, da interventista si arruola come volontario nella prima guerra mondiale, finita la quale, nel 1919 fondò con Mussolini i Fasci di combattimento.
Consegue in breve tempo la licenza liceale e a seguire la laurea in Giurisprudenza.
Il 5 settembre 1920, durante il congresso regionale fascista tenutosi a Cremona, 3.000 socialisti indicono una provocatoria manifestazione pro-Russia, Farinacci, senza alcun timore inquadra 800 fascisti ed organizzano una contromanifestazione. Il giorno dopo, in piazza Roma, si verificò uno scontro armato dove si registrarono due morti, un fascista ed un passante, e cinque feriti. I funerali si svolsero in un clima di totale consenso al movimento Fascista: 10.000 i partecipanti.
Farinacci scrisse: “Dell'Italia ufficiale oggi sentiamo profondamente schifo. Armiamoci”.
Gli incolti, gli umili e i giovani erano affascinati da Farinacci, per le sue umili origini, il suo coraggio, la sua baldanza moschettiera, la sua eloquenza imperfetta. Seppe affermare il Fascismo nelle elezioni del maggio 1921, conquistando in 16 comuni la maggioranza. I rossi sconfitti per mesi organizzarono continui scontri che costarono 2 morti, 20 feriti.
Viene eletto alla Camera dei Deputati, insieme ad Achille Starace organizza una massiccia campagna di propaganda nel Trentino-Alto Adice. Nel 1922 fondò il giornale Cremona Nuova, che nel 1929 diverrà Il Regime Fascista.
Organizza il partito Fascista nelle zone della bassa padana, divenendo esponente di spicco, crea squadre capaci di difendere la presenza Fascista in territori infestati dalla peste social-comunista.
Farinacci reggerà la segreteria del Partito Nazionale Fascista dal 1925 al 1926, divenendo di fatto uno dei politici più importanti. Dopo le dimissioni da segretario, i rapporti con i gerarchi che dimostravano d’essere poco fascistizzati si deteriorarono, in particolare con Federzoni, con Italo Balbo e Giuseppe Bottai, pregiudicandosi la possibilità di raccogliere supporto da terzi nelle sempre più difficili relazioni col vertice. Un uomo senza paure, forte nei modi e nell’ideale, nelle sue lettere arrivava ad offendere e addirittura minacciare velatamente Mussolini forse oltre le sue stesse intenzioni.
Quando il Fascismo scelse di consolidare il consenso, dovette arginare il potere rappresentativo di Farinacci. Il quale tento di salvare le organizzazioni squadriste, contestando la creazione della Milizia, nella quale sarebbero dovuti confluire gli squadristi. Sconfitto nell’intento, si rituffò nella professione forense, costruendo sulla sua figura l'immagine di uno dei Grandi del fascismo dedicatosi, alla politica di provincia. In questa veste si volse ad assicurare al partito consenso e popolarità, raggiungendo risultati che Roma considerava molto positivamente; si consideri che il suo giornale, chiamato "Il Regime Fascista", diffuso solo nel settentrionale, arrivò a vendere più copie del "Popolo d'Italia".
Farinacci non fu un Camerata obediente, il giornale seguiva una linea in un certo senso indipendente, sempre protesa verso soluzioni drastiche ed energiche là dove Mussolini si muoveva con diplomazia e prudenza, costituendo il foglio d'opinione di una sorta di vera e propria opposizione interna al partito. Per questo a Farinacci si chiusero le porte della politica "importante" per molti anni ed il suo giornale fu di tanto in tanto oggetto di censure, sequestri, ammonimenti.

Con la guerra d'Etiopia, partì volontario della Milizia con i bombardieri di Galeazzo Ciano, nuovamente insieme a Starace. Raggiunse il grado di generale perde la mano destra in una azione bellica, ne ottenne un vitalizio (devoluto in opere di beneficenza).
L'esperienza africana gli valse una rivalutazione sotto il profilo militare e politico. Viene inviato quale osservatore militare in Spagna durante la guerra civile spagnola, le sue relazioni furono tecnicamente assai lucide, delineando un quadro prospettico che gli eventi successivi avrebbero confermato. Questo non sanava la contrapposizione che sempre avrebbe diviso Farinacci dal suo Duce, che egli riconosceva come capo, stimava ed amava, ma a cui rimproverava (anche pubblicamente) di essere eccessivamente morbido.

Volle convitamene l’entrare in guerra e quando fu dichiarata, Farinacci si diede al minuzioso controllo dei potenziali traditori, alla caccia dei doppiogiochisti e delle spie, inoltrando decine di rapporti su decine di (da lui) sospettati.
Consapevole della forza degli alleati affermava: « Io ho la sensazione che la Germania in brevissimo tempo metterà in ginocchio la Polonia e procederà contro la linea Maginot che, sotto l'urto di mezzi ultrapotenti, cederà, lasciando ai tedeschi di arrivare in brevissimo tempo a Parigi. La Germania deve vincere in pochissimi mesi, altrimenti, se la guerra dovesse durare qualche anno, la vittoria arriderebbe sicuramente, sebbene dopo sacrifici enormi, all'Inghilterra e alla Francia, a cui gli Stati Uniti non negheranno in seguito il loro appoggio »

Nel 1941 fu inviato in Albania, da dove relazionava sul personale e sull'organizzazione dell'esercito. Su Pietro Badoglio, e soprattutto sui suoi difetti, aveva inviato relazioni di grande esattezza, che furono forse la causa principale delle sue dimissioni.
In qualche modo informato con circa un mese di anticipo della fronda che andava preparando il noto ordine del giorno del 25 luglio 1943, volle metterne al corrente Mussolini, che non diede peso alla segnalazione; Alla seduta del Gran Consiglio votò contrariamente, dopo aver criticato la mozione, presentata da Grandi.
Rientrato in Italia, si vide "scippare" il controllo del suo giornale, trasformato in un foglio di propaganda tedesca. Dopo aver vissuto al margine della RSI, il 27 aprile 1945 Farinacci fu catturato nei pressi di Beverate da una pattuglia di servi dello straniero, il 28 aprile 1945, processato sommariamente nell’aula del Comune di Vimercate, viene condannato a morte dai rappresentanti del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista Italiano.
Alla immediata esecuzione del verdetto, rifiutò di farsi bendare e pretese di essere fucilato al petto, ma ciò gli fu rifiutato. Ciononostante Farinacci riuscì a divincolarsi e a girarsi, così i servi dello straniero spararono in aria. Alla seconda scarica, riuscì nuovamente a girarsi, venendo colpito al petto. Prima di morire le sue ultime parole furono "viva l'Italia".
Roberto Farinacci fu sepolto inizialmente a Vimercate e solo nel 1956 la famiglia ottenne di farne trasferire le spoglie nella tomba di famiglia a Cremona nel Cimitero Civico.
Per Gabriele Villa, Farinacci era un gerarca Fascista che, induceva a tormenti e rimorsi, peggio, ad incubi ed angoscia, Pietro Ercole Mola, spingendolo al triste atto del suicidio. VERGOGNIA !
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