Torino 12/13 novembre 2011 Congresso de "La Destra"

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Torino 12/13 novembre 2011 Congresso de "La Destra"  Empty Torino 12/13 novembre 2011 Congresso de "La Destra"

Messaggio  Admin Sab 12 Nov 2011, 17:25

Torino 12/13 novembre 2011 Congresso de "La Destra"  S_giov10
«Cantiere Italia»
Mozione 2° Congresso Nazionale de "La Destra"

1. Sono trascorsi poco più di quattro anni dalla formale costituzione de La Destra e sembra trascorso un secolo: è praticamente cambiato tutto. C’erano i Ds e La Margherita, c’erano Forza Italia e Alleanza nazionale. Governava l’Italia Romano Prodi, governava l’America George Bush. L’Europa entrava a Lisbona. L’Italia della tradizione sceglieva il 12 maggio per celebrare il family day. Sì, è cambiato tutto.
L’Italia del 2007, infatti, appariva profondamente diversa da quella del 2011, tanto nell’assetto politico (governava la sinistra dopo la sconfitta del 2006), quanto nei rapporti economici e sociali (la ‘grande crisi’ nata dal crollo del sistema bancario americano nasce nell’estate di quell’anno, ma sarebbe, infatti, giunta solo nella seconda metà del 2008).

È questo il punto di partenza di una riflessione ampia che dovrà tenere conto di un elemento ormai strutturale nel nostro assetto istituzionale (e sociale): la “transitorietà”, nel senso di continua ricerca di nuovi punti di stabilità, di desiderio di approdo in un porto immaginato e non ancora costruito (forse destinato ad essere in perenne costruzione). Fin da subito, il nostro obiettivo dichiarato è di voler contribuire, anche con questa mozione congressuale, a individuare la giusta nave e a costruire il porto, il luogo di approdo e di stabilizzazione della lunga transizione democratica.
Sono lontani gli anni della prima Repubblica nei quali il persistere delle ideologie postbelliche determinava situazioni di stabile-instabilità, fino al punto di fissare oscillazioni assai poco incidenti nella capacità di consenso dei principali partiti politici e con consolidati blocchi di potere resistenti a tutto e a tutti. A questo hanno concorso anche le diverse leggi elettorali. E oggi dobbiamo chiederci: andremo a votare con quella vigente? E ci sarebbe sufficiente per soddisfare una missione storica?
Per comprendere cosa stia accadendo in questi anni basta cogliere un dato: sarebbe mai stato pensabile nell’ancien regime nostrano vedere mutare tre volte in dieci anni i partiti che rappresentano i tre quarti della popolazione elettorale? Sarebbe stato immaginabile veder nascere gruppi e gruppuscoli a prescindere da ogni coesione ideale e di programma? Nascono correnti senza regole. Chi conta cosa non lo stabilisce più la politica, ma il capo di turno. Solo apparati, niente politica. E chi la politica la ama?
Eppure, la Repubblica post-tangentopoli edificata da tanti fattori convergenti, a partire dal referendum elettorale e dal crollo in manette dei principali partiti di governo (ci risiamo?), sembrava averci consegnato un’Italia rinnovata: i collegi uninominali, le coalizioni, l’alternanza di schieramenti, i volti nuovi al potere, l’economia che diventa politica in nome della difesa degli interessi di tutti, la destra al governo, la sinistra al governo… Ma tutto questo non è stato sufficiente: è vero, la Destra è andata al governo. Ma il governo della politica è sempre più lontano dal potere sulla società: siamo andati al governo, non al potere, che ci è rimasto ostile.
All’inizio di questa seconda Repubblica sembrava che la politica, rinnovatasi profondamente, avesse recuperato un rapporto con il popolo e d’un tratto, senza apparenti spiegazioni, tutto è venuto meno. Il nuovo ordine non si è realizzato e, mese dopo mese, anno dopo anno, la politica italiana sembra essersi ammalata di un male pericoloso: l’attitudine a immaginare un sogno collettivo (il nuovo miracolo italiano) e l’incapacità di realizzarlo. Ci ha provato il Pd con le primarie; ci ha provato il Pdl mettendo in alternativa popolo e partito. Ma entrambi legati a persone e clan; i valori di riferimento frantumati per entrambi alla prova di governo. Solo declamazioni. Gli uomini hanno fermato le idee.
Il tema forse appare ripetitivo, ma la sua analisi minuziosa (quasi una vivisezione del tempo e delle scelte) è davvero centrale; e lo è sia per comprendere come uscire da questa condizione di crisi, sia per individuare la strada che l’Italia deve compiere per tornare a far sentire italiani i suoi cittadini (o, se si preferisce, per fare sentire rappresentato il popolo da una politica capace di scelte importanti).
E, sia detto per onesta d’intelletto, nell’analisi di questo parto non riuscito dobbiamo guardare anche in casa della Destra. Tuttavia, sarebbe assai riduttivo pensare al solo nostro partito politico (che poco o nulla c’entra): la disamina di una stagione che ha visto protagonisti gli uomini educati alla politica nella scuola del Movimento Sociale Italiano non può esonerare da responsabilità quanti, per la metà buona del tempo trascorso nella seconda Repubblica, sono stati al governo del Paese e sono, per tale ragione, direttamente coinvolti nella ricerca delle responsabilità di un’incompiuta, la Nuova Repubblica, alla realizzazione della quale con maggiore convinzione e mezzi avrebbero dovuto lavorare: ci si era illusi che bastasse vincere le elezioni per cambiare la società. Non avevamo fatto i conti con le barriere edificate dal potere che non abdica.
La ragione di questa chiosa è fin troppo ovvia. Se oggi il popolo italiano avverte l’inutilità della politica, perché percepita come luogo dei privilegi e non delle scelte, la ragione di questo sentimento di avversione riposa proprio nella manifesta inadeguatezza mostrata per raggiungere un obiettivo che è apparso a tutti necessario e indispensabile fin dal 1996 (e cioè proprio all’inizio della stagione iniziativa con il 1994): riformare lo Stato consegnando ai cittadini una Nuova Repubblica presidenziale, con nuovi pesi e contrappesi, con la centralità del cittadino nella elaborazione delle scelte.
A ben riflettere quello che la gente si attendeva era già scritto nei documenti politici della Destra di Giorgio Almirante. Non essere riusciti a realizzarlo, non poter legare alla presenza della Destra politica al governo alcuna reale e seria riforma, rafforza – se ve ne fosse ulteriore necessità – finanche la scelta di dar vita a La Destra: mentre una forza politica perdeva la propria voglia di essere Destra, un’altra ne nasceva con il dichiarato intento di rappresentare la continuità con una storia che, presto, sarebbe confluita altrove. E a ulteriore conferma c’e’ uno scenario politico in cui non si prevede alcuna “casella” di vertice per gli uomini che vengono dalla storia del Msi… Oggi, mentre tutto sembra prossimo a nuovi cambiamenti, il nostro compito – come un tempo ebbe a fare proprio il Msi – è quello di elaborare idee, avendo di fronte a noi un sentiero persino più stretto (sembra impensabile, ma è così) di quello un tempo percorso. E il sentiero è assai più stretto perché se allora gli uomini e le donne della Destra politica apparivano estranei al sistema, perché sempre all’opposizione e sempre fuori dal gioco governativo, oggi – e vale anche per noi – si è tutti chiamati di fronte alla responsabilità di esser (o esser stati) parte integrante della stagione della c.d. seconda Repubblica. Diventa velleitaria ogni pretesa di nuovismo, occorre tornare a caratterizzarsi come orgogliosamente altri da tutti.
Pur tuttavia, avendo di fronte l’obiettivo di realizzare la Nuova Italia, occorre manifestare con atti concreti la consapevolezza che per riuscire nell’intento – e nel prosieguo valuteremo le priorità e gli strumenti – occorre guardare alla politica con realismo, con la vigile attenzione di chi sa bene che al di fuori delle Istituzioni non esiste un spazio politico che consente di sognare una società diversa e trasformare il sogno in realtà. Allearsi, dunque, sapendo che ci si confronta con soggetti politici altri da noi e quindi non paragonabili quanto a obiettivi e comportamenti.

2. «Nel vuoto di rappresentatività e di potere provocato da questo sistema non si inseriscono solo i partiti. Di volta in volta gruppi economici, finanziari, industriali, sindacali, ma anche di altra natura come associazioni segrete, lobbies e centri di pressione, organismi confessionali, occupano lo spazio che le istituzioni abbandonano a causa della loro intrinseca incapacità di seguire i mutamenti della società, ancorate, come sono, al modo ottocentesco di concepire la rappresentanza politica. I gruppi si schierano l'uno contro l'altro, in un contrasto spesso aspro che si svolge al cospetto di uno Stato ridotto a spettatore impotente e incapace».
Beppe Niccolai

Viviamo, come si è detto, un tempo di forti tensioni e la sensazione diffusa nella società è che la politica, se mai vi sia riuscita negli ultimi dieci anni, abbia ormai smesso di essere il punto di congiunzione di interessi diffusi e il luogo delle scelte strategiche per il futuro del Popolo italiano.
La mozione approvata nel Congresso di Roma intravedeva, nell’analisi del diffuso sentimento di antipolitica già presente in quella stagione, il rischio che il sistema dei partiti nati con le elezioni del 2008 avesse in sé i germi del difetto di rappresentanza non solo delle diverse culture politiche presenti nel Paese, ma anche e soprattutto di quei blocchi sociali che avevano caratterizzato la formazione, dopo il 1993, di due grandi aree di consenso tra loro contrapposte e in alternanza nella conduzione del governo. Affermammo con chiarezza di non essere in preda ad una vocazione terzopolista: ci fummo spinti dall’egoismo di settori che si pentirono di aver fondato il Pdl. Questo ci consentì comunque di analizzare con più libertà quel che accadeva: vi fu in noi fin da subito la sensazione che l’attacco alla politica – in un suo momento di debolezza dovuto alla difficoltà di superare la fase di transitorietà iniziata e approdare verso una nuova Repubblica – venisse messo in atto da quei settori della società tentati (e la storia italiana segnala diversi interventi, non sempre riusciti) dal desiderio di mettere sotto scacco la politica per dettare indisturbati “le regole del gioco”.
Si pensi, ad esempio, alla sapiente azione di promoting del best seller La Casta di Stella e Rizzo (entrambi del Corriere della Sera, il quotidiano le cui regole di Patto andrebbero studiate a Cambridge - sottotitolo “o tutti o nessuno” - per comprendere il sofisticato sistema dei pesi e contrappesi del capitalismo nostrano) e di tutti i libri seguenti della fortunata saga.
Con ciò non vogliamo certo significare che i privilegi della politica non siano una grave distorsione da eliminare, ma non v’è dubbio che l’aggressione alla politica (tutti dentro, tutti uguali) sia un leit motiv teso a caratterizzare non soltanto gli ultimi anni trascorsi, ma anche i prossimi a venire. Ed è, altresì, fuor di dubbio che l’operazione sia più politica che antipolitica, sovversiva e non anticasta, per il potere (forte o fortissimo) contro il governo legittimato dal voto popolare.
Questa posizione, che nella sua chiarezza fa del nostro l’unico partito che cerca di interpretare l’impegno politico anche come dovere pedagogico verso la società, muove da una considerazione: ridurre la politica (quindi la democrazia) all’analisi dei costi serve a far intendere (e ci si è quasi riusciti) che, in fondo, della politica e dei partiti può farsi a meno. E, nel momento in cui i partiti vengono meno, chi si appropria dello spazio decisionale? I poteri economici? E secondo quale principio di rappresentanza? Certo, un Parlamento di nominati ha il dovere di dimezzare i propri componenti. Un Parlamento di eletti perché votati, rischierebbe invece di eludere proprio il nodo della rappresentanza. Pensarci bene, dunque.
La Destra deve ambire a diventare, nell’ambito della coalizione di centrodestra e più in generale nella società italiana, il soggetto politico portatore di idee semplici e chiare per chiudere la stagione della transizione apertasi con la fine della prima Repubblica e approdare a una Nuova Italia nella quale tutti i cittadini possano riconoscersi, nella quale la politica torni ad essere servizio e non ricerca di privilegi, nella quale “partecipazione” sia la parola chiave non solo nei rapporti lavorativi, ma anche e soprattutto nello spirito di cittadinanza con il quale l’interno popolo italiano è chiamato a costruire una stagione di benessere, improntata a valori e principi immutabili nel tempo.
In questo si sostanza la nostra ricetta: la partecipazione dei cittadini è l’antidoto giusto per sconfiggere la casta e tornare alla politica.

3. «Non si possono attuare grandi riforme sociali se non in clima di libertà, con reale senso di moralità pubblica, in un'economia che si risana e in una struttura statale ferma, agile e responsabile».
Luigi Sturzo

Primo passo per virare verso la modernizzazione del Paese è metter mano alla definitiva evoluzione della sua forma di governo. E ciò occorre fare tanto a livello centrale che periferico.
La Destra ha fin da principio individuato nelle recenti manovre terzopoliste, avute inizio con la riforma della legge elettorale maggioritaria (voluta a larghissima maggioranza dagli italiani con il referendum) imposta nel 2006 dalle forze centriste e malauguratamente subita dall’intero centrodestra, con annessa espropriazione del diritto di scelta dei deputati da parte dei cittadini, l’inizio del tentativo di archiviare il bipolarismo per riportare l’Italia agli anni del consociativismo parlamentare (con la conseguente marginalizzazione delle forze identitarie). Ed oggi, mentre il c.d. berlusconismo si trova in affanno, mentre la crisi profonda del sistema politico è bersaglio dell’indignazione popolare, si avverte sempre di più una manovra di polarizzazione dei futuri assetti verso la formazione di nuovi spazi centristi.
Non può sfuggire che numerosi esperimenti (iniziati con la formazione degli ultimi governi siciliani e con le elezioni amministrative del 2011) siano improntati, anche attraverso la modifica della legge elettorale, a individuare nuovi rapporti di forza nel blocco moderato.
Anche per tale ragione La Destra ritiene indispensabile formare un ampio reticolato di forze, sia pure trasversale rispetto agli schieramenti tradizionali, che punti a rilanciare nel Paese un nuovo dibattito sulla necessità di riformare la nostra Costituzione in senso presidenziale.
In questa direzione La Destra auspica che le forze di maggioranza vogliano modificare l’approccio con il quale fino ad oggi si è affrontata la questione riforme, che è talmente importante da non poter essere affidata all’estemporaneità di un disegno di legge, varato dal governo ad apparenti fini propagandistici e sotto la pressione leghista.
Il centrodestra italiano, per evitare la sua balcanizzazione e per recuperare di credibilità, deve coinvolgere i cittadini nella definitiva azione di riforma delle istituzioni repubblicane, che appaiono sempre più logore e sempre meno all’altezza delle sfide.
L’Italia ha bisogno, se vuole riuscire in un serio percorso di riforma fallito in oltre vent’anni di iniziative e affossato anche con il voto referendario dopo il tentativo del 2006, di una vera e propria Assemblea Costituente che, operando al di fuori delle strumentali (ma talvolta inevitabili) contrapposizioni parlamentari, assai spesso legate alla logica del contingente, voglia nell’arco di un tempo fissato procedere alla ridefinizione dell’apparato centrale e periferico dello Stato.
La Destra ritiene che tale percorso dovrebbe articolarsi nei seguenti punti cardine:
1) Modifica della forma di governo da “parlamentare” in “presidenziale” con la elezione diretta del Capo dell’Esecutivo da parte del popolo;
2) Revisione del bicameralismo perfetto con l’istituzione del Senato delle Regioni e delle Autonomie locali;
3) Modifica della legge elettorale con ritorno al sistema maggioritario e con la previsione delle primarie quale metodo d’indicazione dei candidati nei singoli collegi uninominali.
Se quelle che precedono sono le priorità che La Destra assegna al sempre più necessario percorso delle riforme dell’apparato statale, una riflessione appare obbligatoria, anche per evidenziare errori commessi che non dovranno in futuro essere ripetuti. La presenza e il ruolo della Destra politica in maggioranza e al governo doveva essere interpretato, nei quasi venti anni della seconda Repubblica, anche e soprattutto come un ruolo da giocare in chiave riformista. Infatti, la vera novità di questa seconda fase della storia repubblicana era rappresentata proprio dalla destrutturazione della conventio ad escludendum che, in nome dell’arco costituzionale, aveva tagliato fuori dal luogo delle scelte gli uomini del Msi. Proprio per questo e anche in nome di tante battaglie condotte a partire dalla fine degli anni settanta sul terreno della necessità di modernizzare lo Stato, la Destra di governo avrebbe dovuto giocare la partita riformista con maggiore convinzione e avvertendo la necessità di realizzare progetti che, peraltro, godevano ormai del consenso della parte maggioritaria del Paese. Tutto poteva e doveva accadere, tranne consegnare il tema riformista (ma lo si è fatto anche sulla sicurezza e sulla certezza del diritto) alla Lega di Bossi che questa partita l’ha giocata con maggiore convinzione e capacità con la bandiera federalista.
Una veloce notazione sulla legge elettorale. A nostro avviso esiste un rischio attuale e concreto ed esso è connesso alla possibile campagna referendaria sui vari quesiti per l’abrogazione della vigente legge elettorale. Se ciò dovesse verificarsi La Destra non può che prendere una chiara posizione a favore del referendum che punta al ritorno alla sistema maggioritario. E ciò non per cavalcare l’onda della giusta indignazione popolare contro l’abolizione delle preferenze (che pure sarebbe costa politicamente avveduta), quanto piuttosto per salvaguardare l’impianto bipolare contro ogni tentazione neo-proporzionalista.
Quanto alla riforma della struttura periferica, va detto con ogni chiarezza che La Destra considera come un traguardo raggiunto la elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di Provincia e delle Regioni. Sul piano istituzionale, se si vorrà procedere a un ulteriore passo in avanti, La Destra ritiene indispensabile istituzionalizzare il sistema della primarie per la selezione dal basso dei candidati alla guida delle Amministrazioni locali.
Sul fronte del contenimento dei costi è ormai necessario procedere a una complessiva ridefinizione del numero delle Province, abolendo queste ultime.
È necessario, poi, procedere a un ampio riassetto delle società a partecipazione pubblica, promuovendo la verifica della loro effettiva utilità e sopprimendo gli Enti inutili.

4. «Nella corsa alla ricchezza, agli onori e all'ascesa sociale, ognuno può correre con tutte le proprie forze, per superare tutti gli altri concorrenti.
Ma se si facesse strada a gomitate o spingesse per terra uno dei suoi avversari, l'indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto».
Adam Smith

Viviamo una stagione di crisi economica che appare sempre di più una crisi di sistema, una crisi che sembra avere le sue fondamenta nell’eccessivo spazio offerto in occidente alle logiche liberal-capitalistiche globali.
Abbiamo sempre sostenuto che il dramma dell’economia fosse legato al mercatismo. Oggi la crisi dei mercati avvalora la sensazione che esista un legame innaturale tra interessi capitalistici e strategie di crescita degli Stati, che la politica abbia fatto un passo indietro, al quale abbia corrisposto un passo avanti delle lobbies internazionali.
Sarebbe un vero errore pensare che la chiave di soluzione di una crisi così profonda possa essere ormai gestita da un singolo Stato nazionale. Se poi ci si riferisce, come per l’Italia, ad uno Stato che ha devoluto la politica monetaria ed economica agli organismi comunitari, appare ancora più evidente che oggi il luogo delle scelte, quantomeno per i grandi asset strategici, non sia più a Roma ma a Bruxelles.
Se questo assunto è vero, come in effetti è, la strada maestra per l’Italia, non solo per il suo governo e per le forze che lo sostengono, è di porre con forza la questione fondamentale della riforma delle istituzioni comunitarie.
La Destra ha sempre pensato a un’Europa politica, un’Europa nella quale i popoli hanno un ruolo e non subiscono le scelte. C’è bisogno, come prima risposta seria a questa crisi, che l’Italia si faccia carico di una proposta organica e che questa proposta possa essere sottoposta all’attenzione dei partners europei. È una responsabilità che il nostro Paese e il suo governo devono assumersi proprio per la forte pressione dell’economia nazionale, perché i rischi da noi sono più pericolosi che altrove.
Non può rimproverarsi ai governi che si sono alternati in questa seconda Repubblica di aver prodotto aumenti del deficit (o quantomeno di averne prodotto l’aumentare vorticoso degli anni in cui il debito si è formato). Si può, invece, rimproverare ai governi di centrodestra – ma oggi sembra prevalere un indirizzo diverso – di non aver voluto o saputo sostenere la crescita economica del Paese puntando a ridefinire il ruolo dell’Italia nel contesto globale.
Alcuni esempi possono essere significativi: siamo rimasti sostanzialmente un Paese che muove a più velocità in base ai territori; ieri poteva porsi una questione meridionale ed una questione settentrionale: oggi, accanto al sempre evidente gap del Mezzogiorno, si segnalano esempi anche vistosi nei quali la crisi ha prodotto effetti scomposti ed esistono punti di eccellenza e di crisi al nord come al sud.
Allo stesso modo è sotto gli occhi di tutti che l’Italia, con i suoi governi centrali e locali, ha perso – almeno dalla fine degli anni novanta – l’occasione di iniziare un serio piano di ridefinizione per macroaree delle risorse e che troppe opportunità, per via degli egoismi locali, sono state perse assieme a centinaia di milioni di euro messi a disposizione dalla Comunità europea.
Oggi, ad avviso della Destra, è necessario muovere in due distinte direzioni: serve una seria riduzione dei costi interni dell’elefantiaco apparato burocratico, in guisa da consentire un rapido pareggio di bilancio dei conti pubblici (riuscendo a mantenere l’impegno per il 2014 e garantendo la previsione del pareggio di bilancio in Costituzione). Inoltre, per sollecitare la crescita economica, è indispensabile l’istituzione di una cabina di regia permanente di stanza presso la Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali per monitorare, unitamente al Cipe, la rapida messa in utilizzo di tutte le risorse economiche disponibili.
Nel rispetto delle autonomie decisionali previste dal nostro ordinamento, va detto con chiarezza che non è più possibile vedere sprecare le ultime risorse utilizzabili in progetti che non si pongano come obiettivo essenziale il rilancio dell’economia nei diversi territori, avendo come unico punto di riferimento il recupero dei tanti ritardi strutturali che oggi rendono più difficile investire nel nostro mercato.
Accanto a tali direttrici di marcia, l’Italia ha bisogno di una riforma fiscale di tipo europeo. Le politiche poste in essere in questo settore non hanno mai consentito di far riemergere l’enorme sommerso che fa del nostro il Paese occidentale con il maggior numero di evasori.
La Destra ritiene che il fisco debba essere equo, che si debba introdurre il quoziente familiare per la individuazione delle aliquote fiscali, che si debba operare sull’IVA per far emergere il sommerso dei c.d. ceti professionali, che non sia più accettabile una così forte sperequazione tra la tassazione sul reddito e la tassazione delle rendite da capitale.
Se queste sono solo alcune proposte, su tutte campeggia una valutazione: in Italia negli ultimi dieci anni è paurosamente cresciuto il numero dei poveri. Nessuna seria iniziativa di politica economica potrà essere davvero risolutiva se non si riuscirà a comprendere che i comparti produttivi del Paese (industria, commercio, agricoltura, pesca, ecc…) in tanto potranno essere sostenuti nella loro crescita, in quanto si deciderà di operare perché la linea della povertà (e quindi dei possibili consumi) vada presto ad assottigliarsi.

5. «La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione».
Giorgio Gaber

Proviamo ad affrontare il tema del lavoro in modo innovativo, capovolgendo la percezione – corretta nei numeri – che l’Italia in taluni settori abbia recuperato sugli indici occupazionali negli ultimi venti mesi.
Una premessa, tuttavia, è d’obbligo: La Destra considera il tema del lavoro come fatto etico prima ancora che questione sociale. In questo senso si riconosce nei valori espressi non soltanto dalla Costituzione repubblicana, ma anche dalle fondamenta della dottrina sociale della Chiesa. Un cittadino senza lavoro non è soltanto un uomo o una donna che vive il dramma occupazionale. Chi non ha lavoro vive una condizione morale che lo pone inevitabilmente fuori dal contesto sociale. Si tratti di giovani in cerca della prima occupazione o di cinquantenni che il lavoro lo hanno perso, la tragedia che si abbatte sulla percezione di sé assume connotazioni tali da indicare nell’assenza di lavoro un elemento tra i più drammatici di esclusione sociale.
Ciò posto, se tralasciamo come detto i dati statistici e proviamo a guardare alla percezione della questione lavoro nella società nazionale, possiamo ragionevolmente sostenere che per gli italiani esistono due priorità: la crescita del mercato del lavoro nei territori con maggiore indice di disoccupazione (con la conseguente contrazione delle migrazioni occupazionali) e il superamento del precariato con la ridefinizione delle norme contrattuali.
Quanto alla prima questione, essa appare di tutta evidenza collegata alle proposte di natura macro-economica affrontate nel paragrafo che precede. L’Italia non ha saputo investire nella ricostruzione del proprio sistema economico locale e nel tempo la crisi dei grandi comparti industriali ha portato con sé, soprattutto nel Mezzogiorno, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e la difficoltà di crearne di nuovi. Seri investimenti sulla crescita economica, nel senso anche da noi individuato, comportano inevitabilmente l’ampliamento degli spazi occupazionali.
Si aggiunga, sul punto, che in questi anni siamo sempre stati abituati a tessere le lodi del sistema industriale italiano imperniato sulle c.d. piccole e medie imprese. Se è certamente vero che questa peculiarità nazionale abbia negli anni del boom economico rappresentato un punto di eccellenza del nostro sistema e abbia garantito occupazione, oggi a nostro avviso occorrerebbe una seria riflessione. Viviamo il tempo della competitività con sistemi economici (si pensi a quello cinese e indiano) in cui i bassi costi di produzione rendono complessa la gestione del “conto economico” di tante piccole e medie imprese nazionali. È venuto il momento per il mondo industriale italiano di comprendere che occorre fare un slancio in avanti e che per resistere nel mercato, rivendicando come noi rivendichiamo il nostro sistema di tutele del lavoro, occorre quantomeno sviluppare la collaborazione industriale locale e incentivare i grandi consorzi per la commercializzazione dei prodotti italiani.
Sul fronte del precariato, invece, la questione è assai più complessa. Se da un lato la riforma del mercato del lavoro ha comportato, nel solco segnato da Marco Biagi, la individuazione di nuovi contratti da applicare anche a giovani per la prima occupazione, è altresì fuor di dubbio che la distorsione prodotta (anche per la eccessiva disinvoltura con cui le norme sono state utilizzate dai datori) ha fatto sì che iniziative nate per l’inserimento nel mercato del lavoro – e quindi destinate ad essere temporanee – siano poi divenute strutturali, con il conseguente insorgere del fenomeno del c.d. “precariato a vita”.
Ad avviso de La Destra proprio al fine di evitare tale ultima distorsione è necessario agire sia con una revisione delle norme contrattuali, sia con una contrattazione con le associazioni sindacali e datoriali.
Su altro fronte, il nostro partito non può che condividere lo spirito con cui, per la prima volta, il governo ha seriamente tentato di portare avanti nel dialogo con le forze sociale la proposta di partecipazione del lavoratori agli utili d’azienda.
La Destra continua a ritenere che la compiuta attuazione della norma costituzione sulla partecipazione debba intendersi non soltanto come partecipazione agli utili, intesa sotto forma di azionariato aggiuntivo, ma che debba ad essa necessariamente appaiarsi la cogestione, e cioè il diritto di condivisione delle scelta dell’azienda da parte dei lavoratori. Né questa nostra posizione può apparire fuori dal tempo se solo si considera che in Germania la Mitbestimmung (codecisione) vige da molti anni per tutte le aziende che superano i duemila dipendenti.
La Destra, nella sua unica esperienza di governo in questa legislatura, ritiene prioritario costruire un consenso proprio su questa proposta. E non per offrire una copertura “di bandiera” ad un tema che da sempre ha appassionato il nostro mondo politico, ma perché riteniamo che nel tempo della crisi e della difficile ridefinizione del sistema delle relazioni sindacali, introdurre la piena attuazione dell’art. 46 della Costituzione rappresenti l’unico vero metodo per uscire dalla contrapposizione tra capitale e lavoro, che sindacati massimalisti vogliono sempre più come un rapporto di scontro, e ciò per costruire una incomprensibile stagione di crisi, esponendo i lavoratori – per effetto di questa scelta – al rischio attuale e concreto di perdere il posto di lavoro.
Sul fronte del dibattito sulla partecipazione, La Destra apprezza le posizioni espresse (forse persino con sorpresa delle parti sociali) dal mondo confindustriale. Proprio in ragione dell’intesa di massima raggiunta nel tavolo convocato dal ministro del Lavoro, che ha portato alla elaborazione del c.d. codice della partecipazione, un documento di indirizzo sottoscritto da tutte le sigle, appare sempre più necessario passare dalla fase degli annunci a quella della elaborazione, per giungere entro questa legislatura alla fase esecutiva e sperimentale.
Sotto altro profilo, La Destra ritiene che sia venuto il momento di procedere a una vera rielaborazione dello Statuto dei lavoratori. La questione, a nostro avviso, non può essere affrontata in termini ideologici e anche in questo caso deve, invece, prendersi atto che una normativa ormai obsoleta rischia di rappresentare un freno sia per l’economia, sia per il numero degli occupati.
Tuttavia, un punto fermo nella discussione che si è aperta va da subito individuato: non potrà essere mai accettata dal popolo italiano, e in questo il nostro partito è in linea con il sentimento maggioritario, una riforma che riduca le tutele fino al punto da individuare forti disequilibri sociali. Riformare sì, ma riformare bene.
Un ultima notazione merita la recente riforma dell’apprendistato varata dal governo nazionale. Ad avviso de La Destra è questa la strada giusta per offrire speranza di futuro ai giovani italiani: mettere finalmente in dialogo fecondo il mondo della formazione e quello del lavoro, rilanciare i mestieri di un tempo che oggi non hanno più né discepoli, né maestri; garantire benefici fiscali connessi all’effettiva crescita occupazionale.

6. «Lo Stato non si restaura se non si restaurano le forze morali che nello stato trovano la loro forma concreta, organizzata, perfetta.
Lo Stato non si restaura se non si restaura la famiglia, e nella famiglia l'uomo, che è la sostanza della famiglia, della scuola, dello stato».
Giovanni Gentile

Si è fin qui notato che la mozione per il 2° Congresso Nazionale de La Destra ricalca, in gran parte, le stesse analisi poste con la mozione del Congresso di Roma. Sul fronte delle politiche sociali, o delle giuste risposta alla questione sociale lungamente aperta nel Paese, non v’è dubbio che restino pressoché intatte le valutazioni a suo tempo mosse.
Tuttavia, se con il Congresso di Roma il partito – ancora nella sua difficile fase post elezioni del 2008 – si era data l’obiettivo di rivendicare il primato della questione sociale, in nome dell’assioma “destra uguale sociale”, oggi è già possibile intravedere i risultati di quella indicazione condivisa.
Sintomatico è l’inserimento del c.d. mutuo sociale nel “Piano Casa” varato dalla Regione Lazio: abbiamo dato prova di straordinaria sinergia tra Destra al governo e Destra nell’assemblea rappresentativa; ma, ciò che più conta, si è mostrato che la nostra presenza nelle Istituzioni fa la differenza rispetto agli altri, sia pure nei confronti di coloro che dicono di richiamarsi ai valori e principi della Destra sociale. E la battaglia per la casa e per le agevolazioni sui mutui è una vera risposta ai problemi sociali di decine di migliaia di famiglie italiane.
Il nostro partito dev’essere consapevole che se una battaglia (divenuta patrimonio comune) si è potuta concretizzare, ciò si è verificato alla Regione Lazio e non altrove. E dovrebbero esserne convinti quanti questo obiettivo l’hanno indicato anche prima di noi, ma solo con noi lo hanno potuto vedere raggiunto.
Per essere ancora più espliciti: nelle giunte e nelle assemblee delle Regioni italiane sono presenti uomini e donne legati all’esperienza della Destra politica ed oggi militanti in formazioni diverse, ma solo nel Lazio e solo dove La Destra è forza determinante, si sono potute registrare quelle iniziative che hanno consentito di varare un provvedimento storico.
La difesa dei non garantiti oggi appare ancora appannaggio di una sinistra in confusione, non solo ideale, e di una capace rete di strutture associative affidate al variegato mondo del volontariato. Nel primo caso (che deve essere per noi occasione di stimolo) e nel secondo (che, invece, ci inorgoglisce per i tanti esempi positivi che si registrano) non può non avvertirsi che l’assenza di risposte sociali da parte della politica e tale percezione è anzitutto questione numerica, di bilancio. Può uno Stato operare nel settore delle politiche sociali se ieri gli stanziamenti ammontavano a oltre un miliardo di euro annui, mentre oggi sono ridotti a meno di un terzo?
Si dirà che le dure politiche di bilancio in tempo di crisi non consentano sprechi, ma può essere considerato proprio in tempo di crisi uno spreco attuare politiche a sostegno delle fasce deboli della popolazione?
Ad avviso de La Destra è indispensabile, per il futuro, che una parte significativa della possibile riduzione dei costi della politica (valutata in alcuni miliardi di euro annui, se si considerano le analisi veritiere e non quelle di propaganda alimentate dall’antipolitica militante) venga investita proprio per azioni di intervento nel settore sociale e per tutelare e proteggere la famiglia.
Da questo punto di vista la sinergia tra Stato, Regioni e Autonomie locali deve essere più incisiva. Le nostre proposte, sul fronte dell’assistenza alle famiglia, ai soggetti in crescente stato di povertà, ma anche ai disabili e al volontariato sociale, si uniformano secondo le seguenti linee guida, che giudichiamo irrinunciabili e che devono diventare patrimonio comune e condizione di alleanza con le altre forze della coalizione, specie laddove ci si prepara per le elezioni amministrative:
1) Prevalenza degli italiani nei servizi sociali;
2) Sostegno alle famiglie bisognose non come mero assistenzialismo ma come contributo attivo al superamento delle fasi di crisi;
3) Introduzione del bonus di natalità, per sostenere le giovani coppie;
4) Assistenza per gli anziani, che vanno considerati una risorsa e non un peso;
5) Riequilibrio degli interventi a favore dell’integrazione degli immigrati regolari nel nostro Paese.
Accanto a queste politiche, che appaiono necessarie per raggiungere quel riequilibrio sociale nell’erogazione dei servizi pubblici essenziali, esiste la necessità di svolgere un’opera culturale di forte impatto: l’Italia ha bisogno di vivere una stagione imperniata su una svolta etica.
Il nostro Paese oggi appare piegato alla ricerca di continui miti anche e soprattutto per la mancanza di esempi positivi, tuttavia la sociologia più recente non ha mancato di sostenere che i comportamenti negativi trovano maggiore ascolto quando le condizioni di vita della popolazione sono più arretrate.
In questo senso avvertiamo un forte legame tra la lontananza dello Stato nelle politiche di sostegno alla famiglia, alla natalità, al riequilibrio sociale e l’ansia di una fascia crescente della popolazione di trovare altrove ragioni di crescita sociale, di pescare in modelli negativi (siano essi culturali o criminali), di post-porre il giusto modo di comportarsi nella civile convivenza alla spasmodica ricerca di una affermazione relazionale, che poi inevitabilmente si rivela fatua e foriera di disvalori.
Questo decadimento dei costumi, favorito anche da ragioni di “globalizzazione culturale”, difficilmente potrà essere superato in assenza di una effettiva svolta nel sostegno sociale delle povertà nuove e antiche.

6. «In una società sgretolata e instabile i giovani dove troveranno i punti di riferimento? La missione di un professore non è solo quella di formare dei professionisti competenti ed efficaci che possano soddisfare la domanda del mercato in ogni momento preciso. Certamente oggi si estende questa visione utilitaristica dell'educazione, anche di quella universitaria, diffusa specialmente a partire da ambiti extrauniversitari. Tuttavia, voi che avete vissuto come me l'università e che la vivete ora come docenti sentite senza dubbio il desiderio di qualcosa di più elevato che corrisponda a tutte le dimensioni che costituiscono l'uomo».
Benedetto XVI

Di pari passo alla questione sociale, come sua componente essenziale, muove nel Paese una vera e propria emergenza giovanile.
Le ricerche più autorevoli confermano che in Italia attorno all’universo giovanile si addensano disattenzioni da parte della politica e che, nel tempo in cui l’intera Europa vive il dramma dell’invecchiamento della sua popolazione, l’assenza di un vero e proprio Piano Marshall per la gioventù sia una colpevole miopia che si perpetra da troppi anni.
Tralasciamo nelle riflessioni che seguono la questione occupazionale, già affrontata, e quella relativa alle auspicate riforme per modernizzare l’apparato statale; ed abbiamo anche già affrontato la necessità di offrire alle giovani generazioni esempi positivi, di garantire una società che possa essere nelle condizioni di far guardare al futuro con gli occhi di speranza.
Premessa essenziale per raggiungere questi obiettivi coinvolgendo i giovani è operare una seria riforma del sistema formativo nazionale. Non v’è dubbio che in una prima fase di questa legislatura il governo abbia deciso di investire in modo concreto sulla riforma della scuola e dell’Università: si è effettivamente cercato di modernizzare il sistema e di renderlo più aderente alle esigenze dei nostri giorni.
Pur tuttavia, ancora oggi se dovesse esser commissionata una indagine di ricerca sulla percezione del sistema formativo e del conseguente accesso al lavoro da parte degli italiani di età compresa tra il 14 e i 20 anni, si scoprirebbe che tanti di loro ritengono che una buona raccomandazione vale più di una sana giornata di studio.
A ciò si aggiunga che l’Italia è ancora un Paese troppo legato a concezioni baronali nel mondo universitario e a rappresentazioni negative nel rapporto tra scuola e lavoro. Queste condizioni di realtà non contribuiscono ed anzi rappresentano un freno per la giusta crescita morale della gioventù italiana.
Si addensano, poi, messaggi fuori dal tempo. Siamo convinti che l’importante sia conseguire la laurea a tutti i costi e non vogliamo affrontare il tema della possibilità del nostro mercato del lavoro di accogliere i laureati che vengono sfornati dalle Università.
La decisione del governo di puntare, con la riforma dell’apprendistato, a invertire la rotta non può che essere condivisa. Tuttavia essa stessa appare fortemente riduttiva di fronte a una società che non è ancora pronta a compiere una svolta di linguaggio con i giovani, per parlare loro con una diversa credibilità.
Sembra impensabile, ma nessuna forza politica ha avuto o ha il coraggio di promuovere alcune operazioni verità indispensabili per recuperare un rapporto con i giovani: c’è timore, solo per fare un esempio, anche nel dire che occorre prevedere delle soglie d’ingresso in tutte le facoltà, perché un ragazzo o una ragazza non devono scoprire a trent’anni (e anche di più) di non essere nelle condizioni di trovare occupazione nel settore in cui si sono formato.
Certo, è comprensibile il timore della politica di sollecitare la reazione dei giovani. Ma così facendo la politica perde il suo ruolo di guida nella società. E non ci si rende conto che occorre anche rischiare la popolarità, poi riconquistandola, ma non si può rimanere inermi di fronte alla mortificazione profonda con cui tantissimi laureati sono costretti ad attendere anni per trovare un lavoro, molto spesso lontano dalla disciplina studiata. Da questo punto di vista occorre un segnale di comprensione, un atto di coraggio.
Si aggiunga a quanto fin qui osservato che nella percezione dei giovani l’Italia resta il Paese in cui la famiglia dove si è nati condiziona ancora oggi le possibilità di crescere nel tessuto sociale. Siamo la Nazione in cui la maggior parte dei figli di professori d’Università vincono miracolosamente i concorsi per ricercatore, concorsi ai quali tante volte partecipano solo coloro che sono già stati segnalati per esserne i vincitori.
La sfida di una moderna politica per i giovani, per una politica capace di buoni esempi, passa attraverso la forza di capovolgere la percezione che senza raccomandazione non c’è futuro. E non ci si può riuscire se è la politica stessa, con iniziative tese a trasformare i giovani in motore del consenso elettorale, a trasmettere l’idea che “se sei del giro puoi ottenere qualcosa anche tu”.
La Destra auspica e vuole impegnarsi affinché a partire dalla pubblica amministrazione venga istituito un Osservatorio per il merito: occorre dimostrare con i fatti che nella Nuova Italia non c’è spazio per i furbi, per chi pensa di superare gli altri con l’inganno e con l’aiuto di qualche manina esterna.

7. «Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene».
Paolo Borsellino

Accanto all’impegno per il sociale, un tempo si diceva “chi scrive Destra, scrive legge ed ordine”. Ancora oggi La Destra avverte fino in fondo la necessità e la volontà di essere il partito che crede nella legalità e che vuole rappresentare nei fatti, con le proprie proposte e con l’esempio dei propri uomini, un baluardo nella difesa dei principi di ordine e sicurezza.
Non ci piace l’idea che oggi il partito della legalità debba sembrare quello di Antonio Di Pietro e che il partito della lotta alla mafia debba apparire quello di Bossi e Maroni. Nel primo caso, peraltro, la forzatura è fin troppo evidente come le fortune elettorali costruite su temi politici che sono stati colpevolmente abbandonati da Alleanza Nazionale nella sua ultima fase di vita.
Ciò posto, sul fronte del contrasto alle mafie e della lotta alla criminalità organizzata in questi anni non può non riconoscersi al governo nazionale di aver operato con impegno e al Parlamento di aver legiferato con capacità innovativa (si pensi alla “stretta” sulle misure di prevenzione patrimoniale per i reati di mafia). Non entriamo nel merito delle c.d. leggi ad personam (neppure di quelle poi rivelatesi contra personam) perché intendiamo affrontare con maggiore serietà il tema del rapporto tra magistratura e politica.
La percezione della sicurezza da parte dei cittadini non sembra cogliere gli importanti sforzi compiuti in questi anni. A nostro avviso componente essenziale di questa condizione di generale insicurezza percepita è l’idea che nel confronto/scontro tra politica e magistratura – acuitosi anche per effetto dei recenti scandali che hanno coinvolto personalità di vertice del mondo politico, tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra – vi sia una richiesta di impunità da parte dei potenti, che pretendono per sé garanzie non concesse ai comuni cittadini.
Sulla giustizia, che è componente essenziale del più ampio ragionamento intorno alla percezione della sicurezza e alla individuazione delle opportune politiche in questo settore, alcune riflessioni appaiono indispensabili.
Ad avviso de La Destra la contrapposizione tra politica e giustizia deve essere superata e l’unico modo vero per riuscire nell’obiettivo è riformare finalmente il sistema giudiziario, partendo dalla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e inquirente, con la previsione – per come indicato anche nella c.d. bozza Boato approvata nella Commissione Bicamerale per le riforme (legislatura 1996-2001 – di due Consigli Superiori.
La magistratura non deve percepire l’aggressione della politica, anche quando questa appare motivata da reazioni alle decisioni di una minoranza organizzata di magistrati. Occorre dare rappresentanza ai tanti operatori del diritto, siano essi magistrati o avvocati (entrambi depositari di funzioni essenziali ed istituzionali in quanto previste dalla Costituzione), che per le loro profonde convinzioni sul “valore-legalità” non possono che riconoscersi negli stessi principi cui si uniforma il nostro Movimento.
È poi necessario un maggiore sostegno per le forze di polizia tutte, per le forze armate e per coloro che operano con associazioni di volontariato nel settore della sicurezza. Anche in questo caso, come per le politiche sociali e per i servizi essenziali, sarebbe opportuno destinare una parte delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione e dalle manovre finanziarie ad incrementare il fondo delle spese per proteggere i cittadini da ogni pericolo.
Un ultimo cenno merita la questione delle carceri. La Destra è sempre stata contraria a forme di indulto o di amnistia. Il che non vuol dire mostrare insensibilità di fronte al dramma del sovraffollamento vissuto dalla popolazione carceraria. Sarebbe semplicistico sostenere che se ci sono carceri sovraffollate la soluzione è costruirne di nuove. Si consideri, infatti, che una parte significativa dei soggetti ospitati dalla case circondariali è in attesa di giudizio; un’altra parte è composta da cittadini stranieri, talvolta anche irregolarmente presenti nel nostro territorio. Se per costruire un carcere sono necessari diversi anni, per sottoscrivere accordi bilaterali con gli Stati dai quali provengono il maggior numero di detenuti è necessaria mediazione diplomatica e volontà politica. In questo senso, La Destra auspica che si possa raggiungere l’obiettivo di trasferire nei Paesi di provenienza i detenuti ospitati nelle carceri italiane.
In conclusione, riteniamo che il valore della legalità debba tornare a essere patrimonio comune del popolo italiano. Solo con esempi positivi e con il raggiungimento di una eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini di fronte alla legge, sarà possibile che lo Stato è presente e garantisce l’applicazione delle leggi, perseguendo l’obiettivo dell’ordine sociale.

8. «Un partito nasce e vive per realizzare un'idea. Deve quindi operare nella realtà, anche se avversa, anche se lontana dai suoi princìpi, anche se tenacemente sorda ai suoi richiami. Non deve chiudersi in un cerchio ideale e credere che il suo dovere si esaurisca nella sua coerenza, né deve abbandonarsi all'illusione che un giorno la sorte si rovescerà per incanto e gli permetterà di realizzare il suo sogno. Deve lottare giorno per giorno, e lottare per vincere, senza temere che il contatto col mondo incrini la sua fede e oscuri la sua purezza».
da “Proposta Italia”

Il Congresso Nazionale è l’occasione per ribadire quali sono le priorità programmatiche di una forza politica, ma è anche il momento in cui ciascun partito s’interroga su se stesso e sul suo futuro.
Nella premessa a questa mozione congressuale abbiamo dal primo istante avvertito la necessità di cogliere la incompleta transizione di questa seconda Repubblica e la sua perdurante instabilità. In fondo noi stessi a questa transizione incompiuta e alla instabilità ad essa derivata siamo legati a doppio filo: abbiamo ritenuto che non potesse sciogliersi per decreto una forza politica e per questo ne abbiamo fondata un’altra; ma se qualcuno ha pensato di aprire nuovi scenari nel sistema dei partiti, ciò è avvenuto proprio perché non si è stati capaci di chiudere la transizione aperta e determinare un nuovo assetto istituzionale. La schizofrenia politica ha fatto il resto.
Oggi siamo chiamati a una prova difficile. Saper cogliere quale sarà il futuro del sistema politico italiano e individuare la giusta strategia per preservare le ragioni fondative della nostra esperienza politica.
Il percorso è stretto e scivoloso. Sarebbe auspicabile – e il vertice del nostro partito non ne ha mai fatto mistero – raggiungere una nuova costituente per dare vita (o dare nuova vita) a una forza politica di Destra che non sia stretta nei numeri elettorali e che non viva nella speranza (e nella difficoltà) di fare il conto con le soglie di sbarramento che sono diretta (e talvolta indiretta) condizione di esclusione dalle sedi istituzionali. Ma questo percorso, com’è ovvio, non dipende soltanto da noi ed è anche condizionato allo scenario che si muove attorno a noi. Non tutti hanno la stessa forza di volontà mostrata da chi scegliendo La Destra ha deciso di mettere in discussione anche il proprio avvenire politico.
Il Congresso Nazionale dovrà necessariamente dibattere sul futuro del partito. Proviamo da subito a valutare gli elementi irrinunciabili:
- La Destra crede nel bipolarismo e ritiene necessaria la ricomposizione sotto forma di coalizione, anche strutturalmente federata, del centrodestra italiano. Non abbiamo alcuna tentazione isolazionista e siamo consapevoli che in tanto potrà essere oggettivamente forte la rappresentanza degli interessi sociali, in quanto si possa radicare – crescendo nel tempo – una forza politica di Destra, stabile nel gioco politico e inserita nei contesti istituzionali ad ogni livello;
- La ricomposizione delle comunità che si sono riconosciute nella storia della Destra politica italiana è un obiettivo da coltivare nel medio e nel lungo termine. Per quel momento, che è la ragione fondativa de La Destra, dovremo essere pronti con la forze delle nostre idee e con la consapevolezza di aver giocato, noi più di altri, un ruolo determinante. Dovremo avere un partito più organizzato e meno litigioso, più impegnato nel radicamento territoriale e più capace di confronto positivo;
- Poiché anche con questa mozione siamo stati oggettivi nel riconoscere le difficoltà che hanno portato a una perdita di ruolo (e di elettorato) da parte di Alleanza Nazionale, non possiamo al nostro interno commettere gli errori che hanno determinato le difficoltà di allora. Allo stesso modo non immaginiamo nel futuro una riedizione tout court di quella esperienza politica. Ma auspichiamo che possa determinarsi una stagione nuova per la Destra italiana che, fatta salva e condivisa la lezione di Fiuggi, sappia essere soggetto protagonista della vita politica, interpretando le ansie del ceto medio italiano e riuscendo a mantenersi accanto ai deboli, offrendo loro quella garanzia di rappresentanza che è propria della Destra. Sarebbe, tuttavia, riduttivo – e va escluso con chiarezza – determinare proprio noi la demonizzazione di quello che fu il partito erede del Movimento Sociale Italiano. Il che non vuol dire che l’obiettivo, giova ribadirlo, sia voltarsi indietro. Vuol dire, invece, che occorre comprendere le ragioni per le quali un elettorato ampio fatto di milioni di italiani si sia perso per strada (e non abbia neppure scelto noi in questi anni). Dobbiamo essere consapevoli che per parlare a quel popolo lo strumento partito attuale si è rivelato insufficiente e che ora più che mai (nell’acuirsi della crisi del centrodestra) sia necessario individuare nuovi strumenti o nuove formule, strumenti e formule che non potranno non essere condizionate anche dalle leggi elettorali future, poiché l’obiettivo resta quello di garantire la giusta rappresentanza istituzionale, a livello periferico e centrale, al nostro modello di società.
- Un percorso serio non può che essere legato a fondamenta ideali solide. Serve un confronto aperto, schietto e sincero con il mondo culturale che si muove nell’ambito della Destra plurale che c’è nel Paese. Da questo punto di vista la crisi del Pd ha consentito, anche grazie alle tante voci del mondo culturale di sinistra (e ai tanti suoi strumenti), di sostenere un progetto di sinistra (quello di Vendola/Pisapia e di Di Pietro/De Magistris) verso il quale indirizzare le proprie attenzioni. Dobbiamo chiederci perché a Destra questo non si è verificato, perché gli intellettuali più avveduti (tranne qualche recente presa di posizione) non abbiano creduto fino ad oggi nella necessità di promuovere una nuova aggregazione delle forze, ormai sbrindellate, che si richiamano ai medesimi valori e alla medesima tradizione. È indispensabile aprire questo nostro cantiere ai contributi del mondo culturale. Per questo entro la primavera La Destra si farà carico di promuovere una iniziativa di confronto, un tavolo per le idee, che si terrà sotto il tema “la nuova Destra per la nuova Italia”.
- Occorre, da ultimo, aprire una riflessione sul nome del nostro partito. È un dibattito che, nelle sedi dell’Esecutivo nazionale e del Comitato centrale, è stato in parte accennato, ma mai sviluppato. Non v’è dubbio che l’originaria scelta di dare vita a un partito che si chiamasse La Destra fosse condivisibile perché si voleva contrastare l’idea che la Destra politica potesse perdere ruolo e perché, convinti dell’alleanza elettorale in coalizione, il primo obiettivo del partito doveva esser quello di raggiungere la soglia del 2% per ottenere rappresentanza parlamentare e di governo, da lì in poi potendo procedere nella più ampia costruzione del progetto-partito. Oggi si pone il problema se sia più utile “aggettivare” il termine Destra o se scegliere un nome che possa aprirci a un elettorato più ampio. Il dilemma non è nuovo nella tradizione della Destra italiana. È dibattito questo che ha impegnato il Msi in più occasioni e fino alla decisione di dar vita ad Alleanza Nazionale. È, altresì, un dibattito che sta svolgendosi anche in Francia dove Marine Le Pen ha annunciato di voler superare il Front National (ed occorre non prendere troppo l’esempio francese perché il sistema semipresidenziale e maggioritario a doppio turno potrebbe, in chi lo sconosce, portare a commettere errori di valutazione imperdonabili). Senza voler esaurire nella mozione il dibattito sul nome del partito, fin da subito possiamo dire che il tema verrà sviluppato dal Congresso e che, nell’auspicata ricomposizione delle forze di Destra oggi divise, potrà essere oggetto di riflessione anche più ampia rispetto al solo nostro partito. Il tema, in ogni caso, c’è e va definitivamente affrontato.
Le rapide riflessioni fin qui svolte saranno oggetto del dibattito congressuale, ma certamente non potranno esaurirsi in esso. Tante sono le variabili che potranno essere considerate, tante sono le possibilità che una eventuale crisi del berlusconismo aprirà. Tanti saranno i diversi possibili scenari anche alla luce delle eventuali modifiche del sistema elettorale, con il conseguente e imprevedibile riassetto del sistema politico.
La mozione congressuale ha voluto, pur tuttavia, fissare dei punti chiari. La nostra è la comunità politica che più di tutte ha accettato il rischio della esclusione per salvaguardare la piena continuità della storia della Destra politica italiana. Come al Congresso di Roma anche oggi ribadiamo questa nostra valutazione: più dei contenitori valgono le idee e il nostro compito è lavorare perché le idee possano sopravvivere alle stagioni che verranno.
Nostro compito, in definitiva, non è la mera affermazione delle idee, ma operare positivamente perché questa possano tradursi in realtà.
Ci resta nella mente una frase. È dello scrittore francese Emile Gondinet: «Ho portato le mie opinioni a sinistra, al centro, a destra; e sono rimaste incrollabili». Perchè non temiamo l’avvenire.

Regolamento del Congresso Nazionale 2011
del Movimento Politico La Destra
Approvato dall’Esecutivo Nazionale del 21-3-2011 in conformità della delega deliberata dal Comitato Centrale del 5-2-2011
Norme Generali
1- Sono delegati al Congresso Nazionale tutti i delegati, che risultino in regola con il tesseramento 2011, eletti nei Congressi Provinciali tenutisi nel 2010 per le elezioni del Segretario Regionale a condizione che la Federazione Provinciale di appartenenza abbia depositato nel termine del 30-6 2011 un numero di tesserati, tra rinnovi e nuovi iscritti, almeno pari a quello dell’anno 2010. Qualora il numero dei tesserati sia inferiore di più di dieci unità il numero dei delegati sarà ridotto di uno ogni dieci iscritti in meno. Qualora i delegati assegnati dopo tale computo alla Federazione sia inferiore al numero dei delegati in regola con il tesseramento si procederà ad una riduzione dei delegati secondo l’ordine decrescente di elezione. Nel caso invece la Federazione Provinciale depositi nel termine del 30-6-2011 un tesseramento superiore di almeno dieci unità a quello dell’anno 2010 il numero dei delegati assegnati alla Federazione sarà aumentato di uno ogni dieci iscritti in più. L’integrazione dei delegati rispetto a quelli eletti ed in regola con il tesseramento per l’anno 2011 avverrà con una assemblea dei delegati eletti e di diritto della Federazione Provinciale che provvederà alla elezione dei delegati nel numero da integrare. Il voto si esprime in forma segreta ed assolutamente individuale. Nel caso siano da eleggere non più di tre delegati ogni votante esprimerà una sola preferenza, nel caso i delegati siano più di tre si procederà alla elezione esprimendo il voto per una lista contenente non più di due terzi dei nominativi da eleggere. Ogni delegato potrà sottoscrivere una sola lista di candidati e per la presentazione è necessario almeno un quinto delle firme dei delegati. Non è ammessa alcuna forma di delega e l’assemblea è presieduta dal Segretario Regionale in rappresentanza della segreteria generale del Congresso. Le Federazioni Provinciali che non hanno tenuto il congresso nell’anno 2010 eleggeranno improrogabilmente entro il 15 ottobre 2011 i delegati al congresso nazionale e regionale secondo il tesseramento presentato entro il termine del 30-6-2011 e con le modalità contenute nel regolamento dei congressi provinciali vigente con la precisazione che i delegati al congresso regionale eletti saranno anche delegati al congresso nazionale. Le Federazioni provinciali che hanno già tenuto il proprio congresso nell’anno 2010 possono nuovamente convocare l’assemblea dei tesserati per concorrere alla elezione dei delegati al congresso regionale, se non ancora svolto, e nazionale. La nuova convocazione del congresso può essere richiesta dal Segretario Provinciale o da almeno il 15% dei tesserati delle federazione che risultino in regola con il tesseramento al 30 giugno 2011. La richiesta dovrà pervenire alla Segretaria del Congresso Nazionale entro e non oltre la scadenza del 20 luglio 2011. L’elezione dei delegati si terrà secondo le regole fissate dal Regolamento dei Congressi Provinciali
Svolgimento del Congresso Nazionale
2- Sono delegati di diritto al Congresso Nazionale, secondo l’articolo 11 dello Statuto e previa verifica della segreteria generale del Congresso:
1) I segretari regionali;
2) I componenti in carica del Comitato Centrale;
3) Il Presidente e i componenti del Comitato Etico;
4) I parlamentari europei, nazionali, i deputati e consiglieri regionali;
5) I componenti della direzionale nazionale di Gioventù Italiana e i fondatori del Movimento Giovanile, complessivamente nel numero di 50;
6) Componenti l’Ufficio Nazionale del Dipartimento Nazionale Pari Opportunità e le coordinatrici regionali nel numero massimo di cinquanta;
7) Sei rappresentanti degli Italiani all'estero indicati dal Segretario Nazionale del Partito;
- ) Trenta rappresentanti di movimenti ed organizzazioni federate nominati dal Segretario Nazionale del Partito.
Sono delegati elettivi i segretari provinciali e tutti gli eletti nei congressi provinciali.
3- Nel termine del 15 settembre vengono depositate le mozioni politiche nazionali corredate dalle firme di almeno dieci componenti dell’esecutivo politico nazionale. Entro due ore dall’apertura del congresso i primi firmatari delle mozioni nazionali presentano la candidatura a segretario del Movimento, corredata da almeno il 15% dei delegati al congresso. Il candidato indicato deve sottoscrivere la candidatura per accettazione. I candidati a Segretario presentano alla Segreteria Generale del Congresso la lista di candidati al Comitato Centrale. La lista dei candidati al Comitato Centrale deve contenere non meno di un terzo e non più del numero dei componenti da eleggere. I delegati votano il candidato segretario prescelto e la lista collegata esprimendo un solo voto di preferenza per l’elezione dei componenti al Comitato Centrale, così come previsto dall’articolo 15 dello Statuto, apponendo un segno di “X” su di un’apposita casella a fianco del nome del candidato.
Nel caso nella prima votazione nessuno dei candidati raggiungesse la metà più uno dei votanti si dovrà procedere ad una votazione di ballottaggio tra i due candidati meglio classificati, in caso di parità tra candidati prevale l’anzianità di età. La ripartizione degli eletti per il comitato centrale tra le liste presentate si effettua con il metodo D’Hondt ed in caso di parità di quozienti prevale quello riferito alla lista con la cifra totale più alta. Qualora la lista del segretario eletto non abbia raggiunto il 60% dei voti, avrà comunque eletti il 60% dei componenti assegnati, i rimanenti eletti saranno attribuiti alle altre liste sempre con il metodo D’Hondt. Nel caso di presentazione di un’unica candidatura alla carica di Segretario Nazionale la lista collegata potrà conterrà una lista bloccata di 2/3 dei componenti e quelli rimanenti saranno eletti da una lista di delegati in numero superiore a quelli da eleggere di almeno il 50% con l’espressione nominativa al massimo di cinque voti di preferenza e risulteranno eletti i delegati che avranno raggiunto il maggior numero di voti. Le preferenze eccedenti le prime cinque si intendono annullate. In caso di parità di voti verrà eletto il più anziano di iscrizione al Partito.
4- Assume la Presidenza il Presidente della Segreteria Generale del Congresso, che propone all’assemblea l’elezione per alzata di mano dell’Ufficio di presidenza composto da cinque membri, della commissione elettorale e dei trenta questori. La Commissione Elettorale è composta dal Presidente, dal Segretario e da non meno diciannove componenti e può costituire al suo interno delle sottocommissioni per istituire più seggi elettorali. I candidati alla carica di segretario possono designare dei rappresentanti che assistono alle operazioni elettorali e possono far verbalizzare eventuali osservazioni e contestazioni. A tutte le operazioni di predisposizione e di esercizio del voto e di spoglio assiste un notaio designato dalla Presidenza del Congresso che sottoscrive il verbale delle operazioni elettorali, unitamente al Presidente, al Segretario ed ai componenti della Commissione Elettorale.

RECLAMI

Avverso le modalità di svolgimento ed i risultati del congresso nazionale è ammesso reclamo rispettivamente da parte di ogni delegato al Congresso Nazionale alla Segreteria Generale del Congresso. Il reclamo motivato e firmato deve essere inoltrato a mezzo fax od e mail alla Segreteria entro quarantotto ore dalla conclusione del congresso. La segreteria decide inappellabilmente nelle ventiquattro ore successive sul reclamo con decisione assunta a maggioranza dei votanti.



Ultima modifica di admin il Lun 14 Nov 2011, 07:24 - modificato 2 volte.
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Torino 12/13 novembre 2011 Congresso de "La Destra"  Empty Congresso La Destra, Tilgher apre all’unità dell’area

Messaggio  Admin Sab 12 Nov 2011, 18:01

Pubblichiamo di seguito una nota di Adriano Tilgher, redatta e pubblicata sul suo profilo facebook in queste ore, che introduce al Congresso del Partito che si terrà a Torino a novembre. Il pensiero di Tilgher ha tutta l’aria di sembrare una apertura a tutte le forze politiche per ricucire le diverse “smagliature” presenti da tempo a destra del Pdl.
Iniziamo un dibattito serio e sereno su cosa vorremmo da questo II Congresso de
“La Destra” che si svolgerà a Torino nel prossimo novembre. Intanto dobbiamo premettere che il Congresso capita in un momento particolarmente delicato della vita politica nazionale in quanto i partiti politici, anche se di nuova costituzione (PD e PDL), sono in crisi,il bipartitismo è fallito ed il bipolarismo lo sarebbe pure, se non fosse tenuto in piedi da delle leggi elettorali inique che tendono a tenere fuori dalle istituzioni minoranze anche qualificate. La gente ormai si sente lontana anni luce dai politici che sono ritenuti, a ragione, una casta di profittatori che fanno politica solo per campare ed anche bene. La politica ormai è ridotta a mercato dove le lobbies, i poteri forti, i grandi usurai nazionali ed internazionali ed i grandi burocrati, cioè i vincitori dell’ultima guerra mondiale, la fanno da padrone.
Proprio questa classe politica imbelle ed asservita non può affrontare la grave crisi economica, politica, sociale, etica e culturale, dovuta all’aver lasciato la gestione della cosa pubblica a economisti e la cura dei rapporti interpersonali alle leggi di mercato. C’è bisogno di una classe politica nuova, dalla forte preparazione culturale e dalla consistente capacità etica, che sappia resistere alle lusinghe dei banchieri, dei petrolieri e dei vari lobbisti, ma che sappia soprattutto avere una visione del mondo nuova e disancorata dalla odierna mentalità materialista e relativista.
Per uscire dalla crisi c’è bisogno di chi sappia disegnare corretti rapporti sociali, impostati sulle pari opportunità, di chi abbia una nuova concezione del lavoro differente da quella liberista che concepisce il lavoro solo come costo di produzione, di chi ponga la cultura come caposaldo di una sana concezione statale,di chi abbia il coraggio di utilizzare la forza del popolo per opporsi alle prepotenze di chi detiene le risorse, in un quadro di autentica partecipazione.
E’ chiaro che, alla luce anche dei modesti risultati da noi conseguiti, della non chiara percepibilità della nostra funzione, sarà compito di questo Congresso identificare i modi ed i termini della nostra azione politica.
Per meglio spiegarci e per iniziare un proficuo dibattito dobbiamo prima di tutto fra di noi chiarirci se siamo la destra del centro destra o siamo un partito identitario che si allea con il centro destra per tentare di impedire al centrosinistra, espressione del turbo capitalismo finanziario e del capitalismo di origine marxista, di vincere.
Dobbiamo decidere se vogliamo ricostruire una “Alleanza Nazionale”, che già con la sua costituzione di Fiuggi aveva valicato il Rubicone della socialità per giungere nel campo liberista o vogliamo dare vita e vigore ad un movimento nuovo e diverso che sappia dare spazio e forza alle istanze che nascono dal ventre profondo della nostra nazione, che si vede costretta ad affidarsi a guitti e magistrati che sono quanto di più antipolitico si possa immaginare.
Dobbiamo continuare a tenere nascoste le nostre prerogative per non disturbare i potenti o dobbiamo potenziare le differenze per portare nella necessaria coalizione un poderoso valore aggiunto?
Temi grossi, importanti, che possono marcare la differenza tra ciò che siamo stati per rimanere a galla e ciò che dobbiamo diventare per il bene d’Italia.
Prima di iniziare, però, è essenziale capire che i rancori, le invidie, i risentimenti personali in politica non possono avere cittadinanza. Possiamo e dobbiamo confrontarci e, se necessario, anche scontrarci sempre nel rispetto e nella presunzione di buona fede dell’altro.
Bisogna però stabilire dei paletti che fanno parte delle ragioni profonde per cui stiamo insieme e che sono prepolitici.
1. La cultura è elemento primario per la cura dei rapporti tra gli uomini; solo da una solida cultura può venir fuori l’esempio ed il radicamento dei valori essenziali dell’umanità, quali l’onestà, la lealtà, la solidarietà, il coraggio. Di conseguenza l’etica deve diventare elemento pregnante delle istituzioni,dei rapporti tra gli uomini, per una sana convivenza sociale, e delle relazioni commerciali.
2. La centralità dell’uomo e della sua capacità creativa va riaffermata e di conseguenza dobbiamo rivendicare e tutelare la libertà personale nel contesto equilibrato delle libertà comunitarie.
3. Rivendichiamo la supremazia della politica sull’economia.
4. La giustizia nel suo significato più profondo ha un senso se tiene conto delle differenze.
5. Dobbiamo reintrodurre il rispetto della diversità per il conseguimento dell’unità di Destino di un popolo.
6. L’autorità va considerata come servizio e non come privilegio.
7. La solidarietà è il cemento di una comunità.
8. La Nazione va identificata come momento unificante delle diverse specificità culturali della penisola, vero motivo di orgoglio per l’unicità e vastità del patrimonio culturale di cui noi, come Italiani, siamo gli unici ed incontrastati eredi e da cui si devono trarre i presupposti per una reale unità politica dell’Europa, che possa diventare, da una parte, faro e riferimento per le nazioni del terzo e quarto mondo, dall’altra barriera economica e sociale all’imperialismo cinese, che si sta manifestando anche in Africa.
9. Il lavoro va rivalutato considerandone l’alta funzione sociale come elemento essenziale per la dignità di un uomo, per la crescita di un famiglia, per il potenziamento della comunità nazionale.
10. La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, politica, lavorativa e civile è elemento fondamentale per la crescita di una civiltà, attraverso l’interesse diretto che crea consapevolezza della propria funzione storica e permette la creazione di un autentico stato sociale.
Sono questi gli unici elementi che costituiscono il comune denominatore nel quale riconoscerci per stare insieme anche nella diversità, paletti entro i quali ci si può confrontare utilizzando lo stile fondamentale per chi dice di rifarsi ai valori perenni dell’umanità.
Adriano Tilgher






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